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"Roma è come Baghdad". Christian De Sica, sfogo sul declino Capitale

L'attore-regista Christian De Sica

"Oggi è difficile viverci"

Giulia Bianconi
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Magari tornasse lo spirito di mio padre! Avrei così tante cose da chiedergli. L'ho perso che ero troppo giovane». Nel suo nuovo film «Sono solo fantasmi», Christian De Sica omaggia con nostalgia il padre Vittorio. Lo ricorda tra citazioni e somiglianze fisiche in una pellicola (che ha scritto, diretto e interpretato) ambientata a Napoli, mescolando commedia e horror. «Mio padre mi manca molto. Era un genio, un maestro di recitazione», ci dice ancora emozionato l'attore romano, classe 1951, che nel film, al cinema da giovedì con Medusa, si trasforma in acchiappa fantasmi insieme a Carlo Buccirosso e Gianmarco Tognazzi. Tre fratellastri che dopo la morte del padre, dal nome proprio Vittorio, aprono un business per sconfiggere gli spiriti, mentre una maledizione si sta per abbattere sulla città partenopea. De Sica, come nasce questa horror comedy? «Da un soggetto di Nicola Guaglianone e Menotti (di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, ndr) che hanno messo insieme due generi agli antipodi. Con Andrea Bassi e Luigi Di Capua ci siamo divertiti a scrivere il film, ma è stato anche rischioso. Senza mio figlio Brando non ci sarei mai riuscito». In effetti, non siamo abituati a vederla alle prese con l'horror… «Mio fratello Manuel era un patito del genere e insieme da ragazzi vedevamo i film inglesi di Terence Fisher. A mio figlio Brando da piccolo feci vedere, invece, “L'esorcista” e si appassionò anche lui all'horror. Certo, io sono conosciuto per le farse, i film leggeri di Natale. E anche in questo caso il mio personaggio è un pecorone romano che dice un sacco di parolacce. Così abbiamo trovato il giusto equilibrio tra i generi e addirittura tagliato alcune scene con i fantasmi che potevano risultare troppo spaventose». Questo è un film molto malinconico, pieno di riferimenti a suo padre. «Vittorio Di Paola è un incosciente che ha il merito di rimettere insieme i tre fratelli. È un donnaiolo con la passione per il gioco. Ricorda molto mio padre. Ogni tanto nella mia vita è uscita fuori una sorella. Al suo funerale incontrai una signora che sistemava una madonnina sulla sua tomba e aveva il mio stesso viso». A un certo punto del film lei è anche fisicamente uguale a suo padre… «Mia figlia Maria Rosa si è commossa guardandomi». E se tornasse Vittorio De Sica sotto forma di fantasma? «Magari! Gli chiederei tutto quello che non gli ho potuto domandare prima. L'ho perso che ero poco più che ventenne. Mi manca molto. Ricordo i suoi insegnamenti. Mi diceva, quando entravo in scena, di mettere un'ombra di grigio sulle palpebre o di non ridere delle mie battute. Era un genio, un maestro di recitazione. Ecco perché cito spesso i suoi film nei miei». Ma lei è superstizioso? «Lo sono in parte. Non indosso il viola, non passo sotto le scale. Mio padre lo era veramente. Faceva dei rituali al mare con la luna piena». Anche Napoli è protagonista del suo film. Che città voleva raccontare? «Non quella cupa alla quale siamo abituati ultimamente con Gomorra, ma una Napoli diversa e positiva. Insomma, quella che piaceva a mio padre e che ha sempre amato la mia famiglia. Certo qui ci sono più fantasmi che a Londra». Roma, invece, come la vede? «È diventata Baghdad. Non mi piace più viverci. Con mia moglie Silvia ci rifugiamo spesso in una casa che abbiamo preso in affitto a Castellammare di Stabia». Dal box office cosa si aspetta? «Un tempo al cinema c'eravamo io, Boldi e Rocky. Ora devi combattere con i blockbuster americani, con film come “Joker”. E allora ti devi sempre inventare qualcosa di nuovo. Faccio un cinema nazionalpopolare, dunque spero che il pubblico mi premi anche stavolta». E i riconoscimenti contano? «Ne ho avuti, dai David di Donatello ai Nastri. Ma il premio più grande restai pubblico. La cosa che mi colpisce di più è l'affetto dei giovani». Lo scorso anno ha avuto molto successo la sua reunion con Boldi. A quando un nuovo film insieme? «Ci stiamo lavorando. Doveva essere un remake de “L'Oscar insanguinato” dove io e Massimo facevamo degli attori in declino che decidevano di ammazzare tutti i critici. Ma non ci hanno dato i diritti. Avevamo anche un altro progetto molto costoso, per il Natale 2020, che non ci ha convinto fino in fondo». Ma nella sua carriera c'è un progetto che non è ancora riuscito a realizzare? «Sono tanti anni che vorrei fare “La porta del cielo” e raccontare la storia d'amore tra mio padre e mia madre (Maria Mercader, ndr). È il progetto più bello della mia vita. Ma a forza di fare film leggeri mi sono fregato con le mie mani. Chissà se ci riuscirò mai, magari con Netflix».

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