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"Negozi etnici chiusi entro le 21". Salvini dichiara guerra ai "bangla"

Damiana Verucci
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Il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, dichiara “guerra” ai negozi etnici, che sono migliaia soltanto a Roma e che soprattutto negli ultimi anni hanno preso il posto di tanti negozi al dettaglio miseramente falliti sotto i colpi della crisi. In diretta Facebook dalla terrazza sul tetto del Ministero dell'Interno non usa mezzi termini e dice “stiamo pensando alla chiusura entro le 21 dei negozietti etnici, che la sera diventano ricettacolo di spacciatori e di gente che beve fino alle 3 di notte”. Come? La modalità non viene ancora specificata, certo bisognerebbe intervenire sulla liberalizzazione degli orari e del resto non è un mistero che il Governo sta lavorando anche alla possibile chiusura dei negozi la domenica. Ad oggi, infatti, non esistono né limitazioni di orari né di giorni per abbassare a proprio piacere la saracinesca del proprio esercizio. Fatto sta che Salvini entra a gamba tesa e dà voce ad un problema molto sentito sia dai commercianti che dai cittadini. Negli ultimi anni, di minimarket e similari, è stata una vera e propria invasione. Praticamente gli unici, nel settore commercio, a non conoscere, o quasi, crisi; alimentati molte volte dai bisogni della gente, che trova più economico servirsi da loro, ma aiutati anche da regole forse un po' troppo “libertine” che hanno tolto qualsiasi limitazione alla loro nascita, alla distanza che una volta c'era tra un esercizio e l'altro di una stessa strada, agli orari, appunto. Tanto che il Campidoglio è dovuto correre ai ripari ma per limitare il loro proliferare nella zona più centrale di Roma ha vietato nuove aperture per ogni negozio alimentare. Sono spesso i minimarket e simili, per la stragrande maggioranza a titolare straniero, a contravvenire alle regole della concorrenza, ma anche alle norme igienico-sanitarie. Non a caso quasi ad ogni controllo degli organi preposti scattano le multe per come viene esposta la merce, per lo stato in cui si trova o per altre carenze. Quando c'è un'ordinanza che vieta la distribuzione di alcolici negli esercizi al dettaglio, nei minimarket, con una scusa o con l'altra, da bere si trova praticamente sempre. Fanno anche somministrazione, sebbene sia loro vietata e se c'è da pagare una sanzione in molti casi si usa l'escamotage delle residenti fittizie, ovvero intestate a dimore adibite all'assistenza di chi ha bisogno. Andare a controllare poi se quella sanzione viene o meno pagata è piuttosto una chimera. In centro si è arrivati a contare decine e decine di negozi con titolare straniero nell'arco di pochi chilometri di strada. In estate diventano tra le principali cause di lamentela dei residenti perché le persone che si approvvigionano di alcol in questi esercizi sono poi spesso quelle che si ubriacano e arrecano disturbo agli altri. Quando poi non si scovano delle vere e proprie centrali di smistamento della droga (specie nelle frutterie e minimarket stranieri) e nelle zone più periferiche o di merce abusiva. Soprattutto nei quartieri come l'Esquilino ma anche a Trastevere, Testaccio, Monti. “Era ora che qualcuno del Governo alzasse la voce contro l'espandersi di questo tipo di commercio che non fa altro che rovinare l'immagine della Capitale – tuona Claudio Pica, presidente Fiepet Confesercenti – lo diciamo da tempo. Vorremmo che si vigilasse attentamente sul fenomeno perché non è normale che quasi nessuno di loro fallisca così come è da tenere sotto occhio la facilità con cui aprono”.

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