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Villa Pamphili, è caccia al killer dei cani

I reati connessi a questi atti sono maltrattamento animale aggravato dall'uccisione con pene che prevedono la reclusione fino a due anni e multe fino a 30mila euro

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Stamattina si è svolta la perlustrazione da parte del Corpo forestale dello Stato delle aree all'interno di Villa Pamphili e Villa Sciarra, storici parchi della capitale, teatro insieme alle zone limitrofe di diversi casi di avvelenamento di cani. I controlli della Forestale mirano a far luce sulla vicenda e a recuperare prove e indizi che portino alla scoperta dell'autore del gesto criminale. Già da diverse settimane infatti si sono moltiplicate le segnalazioni di avvelenamenti in diverse zone di Roma, in particolare parchi pubblici e aree circostanti, dove vengono portati a spasso i cani. Sono stati accertati circa 10 decessi tra cani e gatti. Sono entrati in azione Dingo e Maya, pastori belga malinois e Datcha una Border Collie che, insieme ai loro conduttori, sono i primi Nuclei cinofili antiveleno che operano in Italia. Inoltre, i riscontri del Corpo forestale sul decesso di Bo, un giovane meticcio che ha ingerito il veleno letale nelle strade vicine a Villa Pamphili, e quelle sui reperti rinvenuti "hanno evidenziato il tipo di veleno utilizzato che provoca il decesso degli animali nel giro di poche ore con sintomi che si manifestano solo quando ormai gli organi interni risultano compromessi". Le ricerche puntano su diversi filoni investigativi nell'ambito dei quali potrebbero emergere atti di intolleranza verso comportamenti poco adeguati dei proprietari di cani. Il fenomeno dei bocconi avvelenati sta creando un clima di grave allarme fra proprietari di animali domestici e genitori di bambini che ogni giorno frequentano i parchi pubblici romani. Le attività di perlustrazione sono tuttora in corso e proseguiranno anche nei prossimi giorni. I reati connessi a questi atti sconsiderati sono maltrattamento animale aggravato dall'uccisione con pene che prevedono la reclusione fino a due anni e multe fino a 30mila euro, mentre l'eventuale recupero delle sole esche mortali comporterebbe per il responsabile l'applicazione della pena prevista per il getto di cose pericolose.

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