San Camillo, 6 giorni al pronto soccorso a 93 anni
Dopo le cure sui materassi a terra, la pazienza dei malati non è ancora finita
Sabato, domenica, lunedì, martedì, mercoledì e giovedì. Sei lunghi giorni al pronto soccorso, dal primo febbraio all'altro ieri pomeriggio, in attesa di un posto letto. Un tempo infinito. L'emergenza al San Camillo Forlanini, non è ancora terminata. Dopo le cure sui materassi a terra, con le foto choc dei pazienti che hanno sperimentato la caparbia volontà di medici e infermieri di soccorrerli, carponi, l'ultimo messo a dura prova è un grande anziano che compirà 93 anni il mese prossimo: Sigismondo Venturi, classe 1921, non un «catorcio» da «cronicario» (e infatti in una Rsa lui non c'è voluto andare) ma con gli acciacchi di un'età avanzata che pretende cure se si vogliono ancora spegnere le candeline di una torta di compleanno. La sua odissea avrebbe sfiancato chiunque. Ma ora che Sigismondo ha conquistato il letto a Medicina 2 sorride mentre parla con l'amata sorella. «Acqua passata - mormora cortese rivolgendosi a medici e infermieri che gli stanno intorno - qui siete tutti bravissimi». Sigismondo è il volto di tanti nonni che hanno bisogno di cure e attenzioni. Anche così si «affollano» i pronto soccorso degli ospedali romani, e non solo quello del San Camillo Forlanini, la prima azienda ospedaliera di Roma. «Perché la medicina del territorio non è mai decollata - spiegano Marco Lelli, segretario aziendale Nursind e Stefano Barone, delegato Rsu dello stesso sindacato degli infermieri - e iniziative come le case della salute sono rimaste sulla carta». Alla luce di questo, appare solo buona volontà il piano contro il sovraffollamento del pronto soccorso presentato dal dg del San Camillo Forlanini, Aldo Morrone: un repato a gestione infermieristica, "discharge room" una sorta di astanteria per le dimissioni, 8 letti in Osservazione breve, e un reparto di medicina al pronto soccorso. Un piano che «non ha i numeri» per diventare «operativo» per Lelli e Barone, ma anche per Bruno Schiavo di Anaao Assomed, il sindacato dei medici ospedalieri, che ieri si sono uniti al sit-in organizzato dal Nursind (che rappresentano più di 600 tra medici e infermieri), dando voce alla protesta di tre primari di dipartimento: Laura Gasbarrone, direttrice del Dipartimento di Medicina, Ignazio Majolinino (Medicina specialistica), e Salvatore Di Giulio (Chirurgia dei Trapianti). I tre dipartimenti alle prese con «il blocco delle elezioni» (cioè gli ingressi programmati), dice Bruno Schiavo, segretario aziendale Anaao Assomed. E ora anche con i letti allestiti in «corridoio» perché i tre dipartimenti sono diventati una sorta di valvola di sfogo. «Dall'ospedale San Camillo Forlanini nessun segnale di miglioramento, anzi - dice Schiavo -. Dopo le prime ammissioni della Direzione generale, relative al pronto soccorso, anche tre autorevoli direttori di dipartimento confermano che nei reparti di loro competenza non sono più garantite la qualità e la sicurezza dell'assistenza. Affermazioni importanti che non possono essere ignorate». Intanto l'occupazione della direzione aziendale da parte di Cgil, Cisl, Uil e Rsu è alla terza settima. «Non è la prima volta che l'amministrazione presenta un piano riorganizzativo, in particolare quest'ultimo andrebbe sperimentato ma in questo momento siamo senza alcuni dirigenze apicali ed altre hanno la valigia - dice Adriano Fiorini, Cisl - il nostro timore è che il piano sia scritto ma non ci siano i dirigenti per completarne la prima parte, e senza ulteriori risorse, in particolare infermieri difficilmente il piano può avere successo. Per questo la trattativa regionale avrebbe come obiettivo di sbloccare risorse». Più o meno la stessa posizione di Andrea Fidanza, Cgil e Roberto Marrone, Uil. «Zingaretti e la sua Giunta, nonostante la grande fiducia degli elettori, ancora non hanno fatto vedere niente d'importante, solo tentativi, belle parole - dice Giovanni Ronchi, segretario territoriale Fsi (Federazione Sindacati indidpendenti) -. E il Lazio - dice - non solo ha aumentato il suo deficit, ma realisticamente è la regione che rischia per prima il proprio fallimento. Le aziende sanitarie, che si sono dovute adattare alle conseguenze prodotte dall'applicazione dei tagli lineari imposti dalla spending review e da un Patto di Stabilità che non ha prodotto forme d'investimento per le Regioni a rischio default, non hanno potuto gestire nella migliore maniera i servizi dedicati all'emergenza». «Pronto soccorso e case della salute, siamo alla caporetto del Lazio» sentenzia Anaao.
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