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Rubano 18mila reperti da scavi clandestini

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Unoscrigno composto da una necropoli di età imperiale, una villa rustica romana (con annesso ambiente per la produzione e conservazione di derrate) e un santuario equo con cinta muraria finora sconosciuto agli studiosi, che cinque abili tombaroli hanno invece saccheggiato per mesi a ridosso dell'ex strada statale Tiburtina-Valeria. E proprio a «Valerio Massimo», che elevò al rango di «consolare» l'antica Via Tiburtina, è stata intitolata l'operazione del comando provinciale della Guardia di Finanza. Che ha sequestrato ben 17.932 reperti archeologici, «molti dei quali ritenuti di straordinario interesse», nelle abitazioni dei 5 tombaroli, denunciati per «violazione in materia di ricerche archeologiche», «impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato» e «ricettazione». Le indagini, condotte dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria Roma, sono partite dalla scoperta di un sarcofago in marmo di età imperiale in procinto di essere trafugato. E ai tre responsabili degli scavi abusivi, nel corso di perquisizioni domiciliari, le fiamme gialle hanno trovato numerosi reperti (steli epigrafe, segnacoli funerari, cippi miliari del sistema viario consolare) provenienti dalla Statio ad Lamnas, antico centro equo e poi romano posto a ridosso della Valle dell'Aniene, insieme a una ricca documentazione che ha poi consentito agli inquirenti di risalire ad altri due «tombaroli». Poi, attraverso l'interpretazione di una serie di appunti contenuti in agende e taccuini sequestrati agli indagati, è stata ricostruita la «mappa del saccheggio», che ha condotto i finanzieri all'area dello scavo clandestino. Ora i tre siti sono stati censiti nei mappali della Soprintendenza ai Beni archeologici. «La datazione delle sepolture è resa difficile dalla mancanza di corredo e di bolli sulle tegole. Orietnativamente risalgono al I-II secolo al II d.C.», spiega l'archeologo Zaccaria Mari. Ant. Sbr.

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