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Geldof lo snob

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diCARLO ANTINI Vederlo appoggiato al muro di uno degli eleganti saloni dell'Hotel Bernini fa un certo effetto. I capelli spettinati e l'aria sorniona fanno capire subito che i suoi 58 anni e mezzo sono solo sulla carta d'identità. Guardandolo negli occhi non pensi ai Boomtown Rats o a quegli odiosi lunedì, ma rivedi le immagini di Band Aid, Live Aid, Live 8, We are the world e Usa for Africa. Dalle sue mani sono passati alcuni tra gli eventi epocali nella storia del rock. Ora Bob Geldof te lo ritrovi in piazza Barberini, un po' affaticato ma neanche lontanamente meno provocatorio. Come quando spara a zero sul rock che si fa oggi. «Quello che manca è la capacità di provocare e anticipare i cambiamenti sociali - esordisce Geldof senza mezze misure - Oggi le band più giovani si guardano la punta delle scarpe e sono autoreferenziali». Lui, però, non si arrende e, dopo quasi dieci anni di silenzio, torna con una dozzina di nuove canzoni raccolte in «How to compose popular songs that will sell», in altre parole «Come comporre canzoni popolari da mandare in classifica». «Il titolo dell'album l'ho preso da un manuale degli Anni Trenta scritto da Leslie Sheppard - racconta il cantante irlandese - Sheppard voleva spiegare agli inglesi come scrivere canzoni pop sul modello di quelle americane. Per esportare un po' di musica oltreoceano, però, bisognava aspettare almeno altri trent'anni». Con un titolo così, sembrerebbe giunto il momento di strizzare l'occhio a quello che chiede il mercato. Neanche per sogno. «A me non interessa vendere dischi - spiazza tutti - Non sono interessato alle classifiche e neanche loro sono interessate a me. Forse l'unico brano veramente pop del nuovo lavoro è "Silly Pretty Things". Per il resto mi lascio trasportare dall'istinto e dalla libreria musicale che ho nella testa». Si è finalmente scrollato di dosso l'approccio da Live Aid ma ogni sua parola continua a essere intrisa di impegno politico. «La crisi del rock è legata a una crisi più generale - prosegue - La politica occidentale non va oltre il suo ombelico. L'America è stanca di fare l'America e la guerra in Libia è lì a dimostrarlo. Non esiste una vera leadership europea. Se l'avessimo avremmo anche un futuro. Questo è il momento storico giusto per essere vitali e noi stiamo a guardare». Le nuove tecnologie non riescono ancora ad aiutare come dovrebbero. «Il ruolo di Internet ha un effetto negativo sulla musica - afferma - In genere si pensa sia uno strumento iperdemocratico. Tutti su Twitter e Facebook hanno l'opportunità di dire qualcosa, ma nessuno ha veramente qualcosa da dire. Così le opinioni si disperdono e manca un'idea centrale». E ne ha anche per l'Italia. «Il vostro Paese è stato lasciato solo a gestire l'afflusso degli immigrati - incalza - Non è così che si risolvono le emergenze dei nostri tempi». Eppure per uscire dalla crisi un modo ci sarebbe e passa proprio per Internet. «Le parole chiave del futuro sono cooperazione, consenso e compromesso - conclude Geldof - Bisogna connettersi al mondo anche attraverso le opportunità offerte dalle nuove tecnologie, aiutando le persone direttamente nei loro Paesi. Dobbiamo investire in un'economia crescente e non dimenticare che entro il 2040 l'Africa sarà al centro del mondo». Se lo dice Geldof.

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