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"Un problema che andava affrontato"

Clochard in Piazza S. Maria in Trastevere

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Capire meglio. Comprendere qual è il progetto sui vagabondi e Tso (trattamento sanitario obbligatorio) che si vorrebbe estendere e del quale il sindaco Alemanno e l'assessore Belviso hanno discusso col ministro dell'Interno Maroni. Tso oppure Tas - trattamento assistenziale obbligatorio - una differenza sostanziale. Impegnate in una straordinaria quotidianità al servizio dei più deboli, poveri e emarginati, le associazioni di volontariato protagoniste dal volto umano della solidarietà di Roma, aspettano prima di dare un giudizio. Quello dei vagabondi, dei barboni o senza fissa dimora è argomento che unisce ma che potrebbe dividersi sul piano delle risposte. «Aspettiamo con ansia che ci sia un testo scritto su cui confrontarsi insieme all'amministrazione comunale, come solitamentre facciamo», dichiara il direttore della Caritas, monsignor Enrico Feroci.   In effetti in Campidoglio esiste un tavolo permanente con tutte le organizzazioni impegnate nel sociale ma il tema dell'estensione del Tso non è mai stato discusso. Anche perché fanno notare alcuni volontari impegnati nell'assistenza di strada: i senza dimora sono di tanti tipi. «A volte basta un sfratto, una separazione per entrare nella spirale della depressione e diventare un barbone - dice Daniela Pompei della Comunità di Sant'Egidio - Inoltre ogni persona è una storia a sè. Per aiutare questi cittadini a risalire la china serve un sostegno sia economico che psicologico. A questo si aggiunga l'alcol che riguarda anche i giovani esposti così a un futuro di emarginazione». Quanto alla proposta sull'estensione del Tso o del Tas fino a un massimo di 6 mesi, la Pompei ritiene «che non sono molti ad averne bisogno. Inoltre esiste una legge nazionale e ogni caso va valutato singolarmente da medici e personale esperto. In realtà - prosegue - servirebbero centri di prima e seconda accoglienza per togliere queste persone dalla strada». Un destino duro dove rischiano di finire anche coloro che una famiglia l'avevano. «Seguiamo molti nuclei a rischio povertà, ci sono serpazioni surreali e quando il nucleo si sfascia il pericolo per uno dei coniugi di finire come un barbone è elevato - racconta Gianluigi De Paolo presidente delle Acli di Roma e responsabile del forum famiglie del Lazio - Senza casa e risorse sufficienti per vivere con dignità sopraggiunge la depressione con tutte le sue conseguenze. La famiglia è ancora il vero e unico ammortizzatore sociale. È la rete che non ti lascia mai solo, qualsiasi sia il problema». Favorevole alla proposta "provocazione" sui clochard padre Giovanni La Manna, del Centro in via degli Astalli dove c'è la mensa per oltre 400 pasti al giorno, le docce, l'assistenza legale e sanitaria. Sono soprattutto stranieri ma ci sono anche italiani e romani che vanno esclusivamente per il pasto, la doccia e una visita medica. «Il nostro dramma è trovare risposte ai rifiugiati con problemi psichiatrici - dice il gesuita - Trovo positivo che il sindaco abbia posto un tema sul quale lavorare insieme e fornire la soluzione più appropriata. Servono risposte che rispettino la dignità delle persone. Soluzioni che siano efficienti e progettuali. Il sindaco ha avuto la capacità di leggere la realtà che c'era a Roma da anni. Devo riconoscere a questa amministrazione di voler affrontare e rivedere il sistema di accoglienza e di spese. Come credenti indichiamo e applichiamo soluzioni in questa direzione e ritengo che discuterne al tavolo insieme alle altre organizzazioni sia una fatto rilevante». Ma quanti sono i barboni di Roma? L'ultimo censimento della Caritas indica in duemila i senza tetto che vivono letteralmente per strada e cinquemila quelli che sono in condizione di precarietà e trovano rifugio in alloggi di fortuna come ponti e stazioni. Un numero non indifferente con il quale tutti noi dobbiamo fare i conti.

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