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Tremila negozi chiusi in un anno

Negozi di Roma

"Canoni troppi alti per stare aperti"

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Tremila negozi al dettaglio chiusi a Roma nel 2009, circa 600 dei quali per colpa del caro affitti. È questo il bilancio della Confesercenti di Roma e Lazio, che punta il dito sul problema «principe» del settore: canoni raddoppiati, a volte triplicati, dal 2003 ad oggi, e molte aziende costrette a chiudere o a cedere la licenza. Di questo passo un migliaio di altre attività rischiano di fare la stessa fine entro il primo semestre del 2010. Mentre la Confcommercio Roma, attraverso le parole del presidente Cesare Pambianchi, plaude all'accordo raggiunto ieri con l'Agenzia del Territorio: «Un primo passo verso un maggiore equilibrio dei canoni di locazione».   Neanche il tempo di sorridere per questi saldi partiti bene nella Capitale, che all'orizzonte del commercio si riaffaccia il grande problema degli affitti soprattutto per le attività più piccole, già gravemente colpite dalla crisi economica dell'ultimo anno. L'anno nuovo, infatti, è iniziato e si calcola che centinaia di attività al dettaglio andrà soggetto al rinnovo di contratto e vedrà richiedersi un canone di locazione sicuramente più alto. «Sono ormai anni che facciamo luce sul caro affitti sperando di sensibilizzare le istituzioni - spiega Valter Giammaria, presidente della Confesercenti provinciale - ma fino ad oggi non è stato fatto nulla per cercare di risolvere la situazione e il risultato sono negozi che continuano a chiudere». Al centro, ma anche in periferia i canoni sono il più delle volte proibitivi. Si va per un'attività di 80-100 metri quadri dai 5-8 mila euro al metro quadro per le vie più commerciali, ma periferiche, come via Aurelia, via Trionfale, viale Marconi, via Tiburtina e via Appia, ai 15 mila euro delle zone centrali fino a punte di 30 mila euro per un negozio di 120 metri quadri nelle storiche vie del centro come via Frattina o via del Corso. «Il problema poi – incalza Giammaria – è che il costo dell'affitto non è commisurato all'ubicazione del negozio. Mi spiego meglio, se ho un'attività su via del Corso pago allo stesso modo che se ne ho un'altra che sta sempre in centro ma in una via laterale, dove il vai vai di gente è decisamente minore. Questo meccanismo non è giusto e andrebbe cambiato». Sul punto è d'accordo Pambianchi. «Ho sollecitato anche su questo tema l'Agenzia perché si faccia una suddivisione maggiore delle aree di riferimento per avere quotazioni differenti a seconda delle diverse strade». Ora il protocollo c'è e il passo successivo è «concordare insieme le prossime rilevazioni». Secondo il leader della Confcommercio «entro quest'anno si potrebbe già arrivare ad avere nuove rilevazioni». Intanto, però, i negozi continuano a chiudere o a cedere la licenza. È ancora la Confesercenti a sottolineare la questione turn-over. «Ci preoccupa - spiega Giammaria - perché questo continuo passaggio di licenza da un commerciante all'altro è indice di una situazione di instabilità forte del settore, aggravata dal problema del caro affitti». La Confesercenti ha stimato che solo nell'ultimo anno almeno il 25% dei commercianti è andato incontro al turn-over e il comparto in questo senso più «penalizzato» è proprio l'abbigliamento dove si è concentrato anche il numero più alto di fallimenti. Quasi naturale che a fronte di affitti così alti migliaia di immobili della categoria C1, vale a dire botteghe e negozi, restino sfitti. Tra gli 8 e i 10 mila, calcolano le associazioni di categoria, sarebbero dunque attualmente in cerca di un affittuario. La situazione non è rosea anche nei centri commerciali. Anzi. Sono centinaia i commercianti che si trovano a dover «sopportare» canoni elevatissimi e che magari hanno firmato un contratto di affitto ancora prima che il centro commerciale venisse inaugurato per poi trovarsi uno o due anni dopo a pagare lo stesso canone, ma con una situazione economica e sociale del tutto diversa. Nel caso dei centri commerciali, infatti, si è adottata la regolamentazione della locazione del ramo d'azienda. Vale a dire, in poche parole, che i commercianti non hanno le tutele previste dalla legge del '78, ossia la durata obbligatoria (sei anni per sei anni), tanto meno l'indennizzo per la perdita dell'avvio commerciale e la prelazione dell'acquisto. E in crisi per colpa del caro affitti ci sono anche le botteghe storiche della capitale. L'allarme lo ha lanciato più volte la Cna di Roma chiedendo (e ottenendo dal Comune di Roma) una tutela per le attività più antiche particolarmente esposte con la crisi a chiusure e fallimenti. Secondo l'associazione Botteghe storiche, di attività con più di 50 anni ce ne sarebbero una ottantina anche se un vero censimento non è mai stato fatto. Negli anni tante hanno chiuso soprattutto per il caro affitti. Così ha abbassato le saracinesche la cappelleria «Radiconcini», in via de Corso dal '32, lo storico guantaio napoletano Merola, in attività dal 1850, o ancora stessa sorte è toccata alla maglieria in via di Santa Chiara e al gioielliere «Massari» tra il Corso e via Condotti. Altre resistono, ma ogni giorno è una nuova scommessa. È balzata agli onori della cronaca la vicenda della fabbrica delle bambole «Cesaretti» in via Magnanapoli, sfrattata dall'antica sede. Il Comune è intervenuto e l'ha salvata, ma tante altre continuano a sparire nel silenzio.  

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