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Social, basta con lo sfruttamento dei minori. Proposta di FdI ha l'appoggio Pd: stop ai “baby influencer”

Foto: Pixabay

Ignazio Riccio
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Il Parlamento accelera sul disegno di legge che promette di mettere ordine nel mondo dei “baby influencer”, i giovanissimi protagonisti dei social network che sponsorizzano prodotti e accumulano like, visualizzazioni e, sempre più spesso, lauti guadagni. Una legge bipartisan, firmata dalla senatrice Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia e sostenuta anche dal Partito democratico, punta a introdurre regole chiare per evitare che la popolarità online dei minori si trasformi in una forma di sfruttamento. L’idea di fondo è semplice: oggi chiunque, anche un ragazzino di 10 o 12 anni, può aprire un profilo social, pubblicare video e ricevere compensi per la promozione di prodotti. Dietro quelle immagini patinate, però, spesso c’è una gestione familiare o commerciale che muove cifre consistenti, mentre i diretti protagonisti, i bambini, restano giuridicamente senza tutele. Il ddl, denominato: “Disposizioni per la tutela dei minori nella dimensione digitale”, nasce proprio per colmare questo vuoto normativo.

 

 

In Italia, a differenza di altri Paesi europei, non esistono ancora regole specifiche sul lavoro digitale dei minori. La legge si propone di introdurle, fissando limiti, controlli e obblighi di trasparenza. Il punto più discusso, come riporta il quotidiano “Il Messaggero”, riguarda l’età minima per accedere ai social network. L’ultima bozza del testo prevede il divieto di aprire account personali per chi ha meno di 15 anni, con la possibilità di salire a 16 a seconda delle modifiche in Commissione. Parallelamente, si vuole alzare da 14 a 16 anni la soglia per il consenso al trattamento dei dati personali. In pratica, fino a quell’età i social non potrebbero usare le informazioni dei ragazzi senza l’autorizzazione dei genitori. Per verificare l’età reale degli utenti, si guarda al futuro “mini-portafoglio digitale europeo”, lo strumento che Bruxelles metterà a disposizione dal 2026 per garantire l’identità digitale dei cittadini. Ma nel frattempo potrebbero arrivare soluzioni italiane: un’app nazionale senza profilazione o, nei casi più delicati, l’obbligo per le piattaforme di chiedere documento d’identità o codice fiscale.

 

 

Un altro nodo cruciale riguarda i compensi. Se l’attività di un minore genera guadagni, come accade già oggi per molti baby influencer, la legge prevede che i proventi vengano depositati in un conto vincolato intestato al minore, accessibile solo al compimento della maggiore età. Un sistema simile a quello già previsto per i piccoli attori o modelli, con la nomina di un curatore che controlli eventuali abusi. Sulle sponsorizzazioni, invece, sarà l’Agcom a dettare le regole. Entro sei mesi dall’approvazione della legge dovranno arrivare linee guida per rendere trasparenti i contenuti pubblicitari, con etichette e diciture chiare anche per i video destinati a un pubblico di coetanei. Il ddl tocca anche un tema sempre più attuale: la sovraesposizione dei figli sui social da parte dei genitori, il cosiddetto “sharenting”. In questi casi, la norma prevede la possibilità per il minore, una volta cresciuto, di chiedere la rimozione dei contenuti che lo riguardano, esercitando un vero e proprio “diritto all’oblio digitale”. Un principio già sostenuto dal Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, che ha espresso parere positivo sulla proposta. “Occorre garantire ai bambini la possibilità di costruire la propria identità digitale senza essere condizionati da scelte altrui”, ha spiegato il presidente Carla Garlatti. Secondo i dati di “Save the Children”, in Italia circa 336mila ragazzi tra i 7 e i 15 anni hanno avuto almeno un’esperienza di lavoro retribuito. Tra questi, molti hanno prodotto o partecipato a contenuti per i social network.

 

 

Parallelamente, un’indagine “Agcom” ha stimato che il 94% dei minori tra 8 e 16 anni usa regolarmente lo smartphone, e sette su dieci frequentano almeno una piattaforma social. Numeri che raccontano quanto la dimensione digitale sia ormai parte integrante della vita dei più giovani. L’Italia, insomma, non è sola in questo dibattito. In Australia è già vietato aprire account social ai minori di 16 anni, mentre la Francia nel 2021 ha introdotto una legge che tutela i guadagni dei baby influencer, imponendo che una parte resti vincolata fino alla maggiore età. Il nuovo ddl italiano si ispira proprio a questi modelli, ma punta ad aggiungere un livello di controllo in più: l’obbligo per le piattaforme di verificare l’età e la natura dei contenuti promozionali. Non mancano le critiche. Alcune associazioni per i diritti digitali avvertono che il rischio è quello di limitare la libertà di espressione dei ragazzi, trasformando Internet in uno spazio “vietato ai minori”. Altri sottolineano che vietare non basta, servono educazione digitale, alfabetizzazione mediatica e formazione delle famiglie. Ma la politica sembra aver trovato un punto di incontro: proteggere i minori senza chiudere la porta al loro mondo digitale. “Non vogliamo demonizzare i social – ha spiegato la senatrice Mennuni – ma garantire che dietro ogni like non ci sia uno sfruttamento”. Se tutto procederà secondo i tempi previsti, la legge potrebbe essere approvata entro l’inizio del 2026, inaugurando una nuova stagione di tutele per i più giovani nel mondo online.

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