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Viaggio a Riace dopo Lucano: «Le coop e i nostri soldi finiti agli islamisti»

La prima Monfalcone d'Italia e lo sviluppo mai partito

Edoardo Sirignano
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Altro che foto o scatti, che potrebbero essere stati realizzati da chiunque per qualsiasi ragione nella galassia (chi non si è mai fatto un selfie con uno sconosciuto scagli la prima pietra), il vero legame tra la sinistra e possibili movimenti vicini all’Islam radicale è da cercare soltanto nel “dio denaro”, quello che da secoli muove il mondo e non certamente passa per un convegno o per la bacheca Facebook del primo “onorevole” che capita. E se c’è un business che, per anni, vuoi o non vuoi, vede protagonisti due mondi diversi, ma probabilmente paralleli, è quello legato ai migranti o meglio alla discussa accoglienza. 

In tal senso, c’è un modello di cui in Italia si è parlato per oltre un decennio e si chiama Riace. In questo piccolo centro della Calabria, molto prima della pandemia, sono iniziate ad arrivare persone con i barconi per poi essere integrate, mediante progetti ad hoc. Tra queste c’erano soprattutto “disperati” che fuggivano dalla guerra o da una povertà che li avrebbe portati al collasso, ma anche uomini e donne di cui non si conosce il passato o meglio il fine per cui hanno deciso di costruirsi una nuova esistenza in Europa. 

Come ammesso dagli stessi addetti ai lavori, i controlli, allora, non erano così “rigidi” e il tutto veniva gestito da cooperative, aventi quasi sempre il Cda lontano dalle strutture e la cui sola bassa manodopera veniva reclutata sul territorio o probabilmente indirizzata da chi, in quel periodo, amministrava in quei territori. 
Una cosa è certa, in un paesino, che sulla carta faceva 1800 abitanti, vivevano oltre 400 migranti. «In quel periodo – racconta Antonio Trifoli, consigliere comunale – avvertivamo non pochi disagi. I problemi di ordine pubblico erano all’ordine del giorno. Le strade venivano bloccate e se eri sfortunato venivi accoltellato. La gente del posto tremava quando le proprie figlie uscivano di casa. La prostituzione era salita alle stelle. Giravi per il centro e vedevi quasi tutti uomini. Le poche donne, perché la maggior parte venivano rinchiuse dai mariti nelle abitazioni, dovevano indossare un velo che impediva di riconoscerle. Riace, dunque, non è stato tutto oro, come ha diffuso una certa propaganda di sinistra. Non so se tra queste persone potesse esserci qualche terrorista, ma è chiaro come qui ognuno, per anni, ha potuto fare quello che voleva e soprattutto come qui abbia avuto il sopravvento una determinata cultura». L’amministratore, infatti, evidenzia come a Riace, a parte gli eritrei di religione coopta, la maggior parte degli stranieri presenti «aveva le stesse abitudini e soprattutto era solito praticare un culto che poco aveva a che fare con l’Islam moderato. Decine di persone si riunivano e non si sa di cosa parlavano. C’era una sorta di tendenza ad auto-isolarsi». 

Questi soggetti si relazionavano e facevano riferimento esclusivamente ai “mediatori culturali”, figure che «sulla carta avrebbero dovuto favorire il processo d’integrazione, ma nei fatti si occupavano di mantenere gli equilibri fra le popolazioni islamiche». Secondo tale ricostruzione, erano gli unici «a parlare con i gestori delle cooperative e probabilmente a utilizzare la parola soldi». 

Ed è proprio qui che cade l’asino. Perché con questo tesoretto, che avrebbe potuto arricchire un’intera Regione, non c’è stato alcun passo in avanti in termini di sviluppo per un borgo con meno di 2 mila anime? Al contrario non è cambiato nulla per quanto concerne la classe dirigente, ovvero quella che ha confermato, per ben quattro volte, l’europarlamentare di Avs Mimmo Lucano, il quale da quattordici anni indossa la fascia tricolore. 

«A parte qualche eletto che lavorava grazie alle cooperative – spiega Trifoli – qui abbiamo pagato solo il costo dell’accoglienza, di quello che qualcuno definisce “modello”. Motivo per cui vorremmo sapere solo dove sono finiti i nostri sacrifici e soprattutto se sono serviti ad arricchire e sostenere cause non certamente nobili, di cui sentiamo parlare, e non poco, in questi giorni. Chiediamo solo verità».
 

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