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Superbonus, Paragone: quel "mostro" che neanche Draghi ha voluto fermare

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Gianluigi Paragone
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In un Paese dove una banca - Intesa - concede ai parlamentari l’incredibile tasso di interesse del 5,6250 sulla liquidità ben custodita nei loro conti corrente senza che questo faccia urlare allo scandalo (altro che Scurati, censure e fanfaronate simili), capita che nel giro di pochi mesi il governo scopra che abbiamo un mostro spaventoso in casa, un mostro che a quanto pare divora tutto e distrugge il futuro degli italiani: il Superbonus. Il ghostbuster di questo mostro si chiama Giancarlo Giorgetti. Sono certo che abbia ragione lui, ma domando: da dove è uscita questa mostruosa creatura? Dagli abissi, pare. Il vero underdog è il 110: nessuno lo ha visto arrivare. È un po’ come il profumo di Chanel che imbarazza Piero Fassino: ce lo siamo ritrovati nelle tasche senza volerlo, avevamo le mani indaffarate, eravamo al telefono. Insomma non ce ne eravamo accorti fintanto che sono arrivate le guardie e ci hanno pizzicati. Costringendoci alle più fantasiose giustificazioni. «Non possiamo far ristrutturare i castelli gratis», oppure: «Ci sono troppi imbroglioni, meno male che lo abbiamo fermato» (allora preparatevi a fermare anche i progetti del Pnrr perché pare che le truffe scoperte finora siano solo la punta dell’iceberg).

 

 

Il Superbonus è un mostro che col passare del tempo diventerà un macigno per i conti pubblici italiani, quindi dovremo tagliare qua e là, forse tagliare un po’ le pensioni e dare all’Europa i contentini che chiederà. «Tutto per colpa di chi ha ristrutturato i castelli e si è rifatto la villa gratis», la narrazione è perfetta. Ho solo una domanda: possibile che nessuno si fosse accorto di questa terribile nuova specie che esordiva nel creato politico? Possibile che adesso sia solo colpa di Conte? Possibile che ora tutti prendano le distanze dal 110? Eppure ‘sto mostro è passato praticamente tra le mani di tutti i partiti (tranne Fratelli d’Italia): nessuno si era accorto dell’effetto moltiplicatore? Nessuno poteva intuire che fermandolo di colpo avrebbe avuto lo stesso effetto di chi viaggiando in autostrada a 129 km/h (quindi rispettando la norma, esattamente come col Superbonus) viene palettato improvvisamente da una pattuglia della Polstrada? Nessuno, tant’è che non uno in campagna elettorale aveva predicato la fine del Superbonus.

 

 

«Va beh, ma i partiti sono quel che sono», potreste rinfacciarmi. Li conosciamo. Mettiamola così: i partiti chi più chi meno - hanno preferito vedere l’effetto moltiplicatore sul Pil senza soffermarsi troppo sul costo accessorio. Ma Mario Draghi, scusate? L’ultimo governo della scorsa legislatura era presieduto da un ex banchiere centrale, da un uomo che va in giro per il mondo a predicare la differenza tra debito buono e debito cattivo, da un signore che si è formato al ministero del Tesoro: nemmeno l’uomo della Provvidenza con pieni poteri a disposizione si era accorto che avevamo in casa un siffatto mostro onnivoro? «Sì, se ne era accorto, infatti lo voleva fermare». Già, ma non l’ha fatto. Lo ha solo modificato una ventina di volte alla faccia che nessuna norma dovrebbe essere più certa di quella fiscale. «Draghi non lo ha fermato perché voleva i voti anche dei Cinquestelle per diventare presidente della Repubblica», è ciò che quasi tutti dicono. Perfetto, allora significa che anche le ambizioni dell’uomo della Provvidenza erano più importanti del famigerato debito pubblico, quindi del bene del Paese. Insomma tutto è relativo. Un po’ come gli interessi che Banca Intesa dà ai parlamentari italiani.

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