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Bari, il Conte Savonarola e Laforgia il veggente che sapeva ma non parlò

Rita Cavallaro
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«Non distribuisco patenti anticipate di colpevolezza a nessuno, tantomeno a un movimento politico, e, per essere chiari, non ho più volte denunciato il rischio di inquinamento del voto perché sono in possesso di informazioni riservate (e coperte dal segreto professionale). Le polemiche sui voti comprati a Triggiano erano pubbliche e alcuni processi, pubblici, sono in corso da tempo. Lo stesso sindaco di Bari ha dichiarato, pubblicamente, di aver denunciato chi offriva di comprare voti e di non essere sorpreso dagli arresti». Michele Laforgia non ci sta a passare per la Gisella Cardia di Bari. A differenza della finta veggente di Trevignano, il candidato sindaco del Movimento 5 Stelle non ha detto nulla di trascendentale. Perché a Bari, sotto la lente per le infiltrazioni dei clan, si scopre ora che pure i sassi sapevano della compravendita dei voti, che ha garantito al Pd di ergere il fortino in città e pure in Regione. Certo, Laforgia, lo aveva saputo prima degli altri.

 

 

In un giorno di febbraio 2021, quando nel suo studio legale si era presentato Armando Defrancesco, il figlioccio della coppia Sandro Cataldo-Anita Maurodinoia, pronto a «servire la testa sul piatto d'argento» del duo accusato di aver trasformato la lista Sud al centro in una centrale della compravendita. Laforgia avrebbe dovuto prendere un appuntamento dal magistrato per Defrancesco, ma quell'incontro non si concretizzò mai. E giustamente, in virtù del segreto professionale, Laforgia mantenne il segreto. Che oggi si scopre essere il segreto di Pulcinella. Motivo per il quale il vendoliano, vincolato dal suo dovere d'ufficio, lanciava da tempo gli allarmi che, alla luce della scelta di Giuseppe Conte di mandare all'aria le primarie, sono diventati mistici presagi. Forte della sua storia, da avvocato di grido e figlio di un ex sindaco di Bari, dopo il tentativo mal riuscito di entrare in Parlamento con Leu nel 2018, si è fatto infine sedurre da Conte. L'ex premier tanto legato al territorio, che a Bari non ha vinto mai. E non avrebbe vinto neanche questa volta, anzi non avrebbe superato neppure le primarie con il Pd. Laforgia lo sapeva, vuoi per il segreto professionale, vuoi per il chiacchiericcio, ma il risultato è che l'avvocato sponsorizzato da Nichi Vendola si era messo di traverso alle primarie già a dicembre 2023, quando aveva detto a chiare lettere: «Non sono disponibile per le primarie. Penso che la democrazia sia un lavoro e voglio togliere da questa città l'ipoteca che hanno i portatori e compratori di voti». Da lì un crescendo.

 

 

All'indomani dei 130 arresti di febbraio per voto di scambio politico-mafioso, Laforgia aveva ribadito «di aver detto sin dall'inizio, e non solo io, che le primarie non sono il metodo migliore per selezionare la classe dirigente» e che «bisognava stare attenti al voto fai da te, che è il voto delle primarie, perché tutti sanno che a Bari c'è un fenomeno di mercato di voti e infiltrazioni della criminalità». Così per la sfida contro il candidato del Pd, Vito Leccese, i 5 Stelle avevano preteso regole certe, come il registro dei votanti che, tra l'altro, è nello statuto dei dem. Nulla da fare, il partito di Elly Schlein non aveva ceduto, arrivando al compromesso di abbandonare i classici gazebo per far votare gli elettori in hotel, sorvegliati dalle telecamere. Giovedì l'arresto di Sandro Cataldo, perché per il gip si stava preparando alla compravendita, e allora è saltato tutto, dopo l'ultimo scontro Leccese-Laforgia. Perché in fin dei conti, seppure la Schlein bolli la scelta come incomprensibile, qua nessuno è fesso.

 

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