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Russia, da Letta a Calenda fino a Conte: i “putiniani” smemorati di sinistra

Pietro De Leo
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Scriveva Paul Collier, vivace professore di Oxford, che la socialdemocrazia è entrata in crisi quando ha abbandonato un’idea di comunità pragmatica, per abbracciarne una molto fondata su una legge morale, in base a cui una classe dirigente ha un approccio paternalistico sulle persone. Fotografia coincidente con l’atteggiamento che i partiti di opposizione hanno osservato presentando e votando la mozione di sfiducia contro Matteo Salvini che vede, come motivo principale, l’accordo di sinergia politica tra la Lega e Russia Unita, il partito di Vladimir Putin. Un accordo firmato in tempi di pace, mai andato oltre il mero enunciato formale e tuttavia disconosciuto a più riprese dal partito del vicepresidente del Consiglio. Il quale, peraltro, si è sempre allineato con Fratelli d’Italia e Forza Italia nell’affiancamento all’Ucraina, sia nei voti in Parlamento, sia nella genesi del programma elettorale per le elezioni del 2022, quando l’argomento fu posto addirittura al primo punto. Niente. L’iniziativa dell’opposizione è intrisa di quel paternalismo e moralismo che incappa sempre nello stesso difetto: vedere la pagliuzza nell’occhio altrui ignorando la trave nel proprio.

 

 

Sì, perché se il 2022 ha segnato un “anno zero" per tutti, i precedenti non possono valere solo per alcuni. Precedenti in cui molti di quegli esponenti che hanno tentato la sortita nel tentativo (maldestro e non riuscito) di disarticolare il centrodestra, quando si trovavano al governo di collaborazioni con la Russia di Putin ne avevano intessute eccome. C’è sicuramente la pagina che riguarda Giuseppe Conte, e quella missione «Dalla Russia con amore» che vide atterrare in Italia un centinaio di persone, in gran parte medici e militari, inviate dal Cremlino per dare supporto soprattutto sul piano delle sanificazioni nella zona di Bergamo. Una «missione», nata a seguito di una telefonata tra l’allora premier Conte e Vladimir Putin, con il presidente del Consiglio italiano che, si seppe dopo, non aveva preventivamente informato della cosa il resto del governo. L’operazione servì ben poco all’Italia sul piano sostanziale ma molto alla Russia per migliorare la propria reputazione in ambito internazionale.

 

 

E che dire, poi, degli accordi economici stretti dai governi a guida Pd nel decennio scorso? Nel 2013, un incontro a Trieste tra l’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta e il leader del Cremlino generò 28 accordi commerciali in comparti molto importanti come energia, finanza, industria. Nel giugno 2016, Matteo Renzi alla guida del governo arrivava a San Pietroburgo annunciando «accordi per oltre un miliardo di euro, accordi legittimi nel piano delle sanzioni perché noi rispettiamo le regole». Due anni prima c’era stata la prima fase di scontro tra la Russia e l’Ucraina, con l’invio delle truppe di Mosca in Crimea e le prime sanzioni europee. Renzi, riconosceva quanto il tema fosse divisivo: «Tutti noi pensiamo che gli accordi di Minsk siano da rispettare, ma pensiamo che vadano colte tutte le opportunità di dialogo». Erano i giorni del «forum economico» nella città russa. Dove, in qualità di ministro dello sviluppo, era presente anche Carlo Calenda: «Quello fra Italia e Russia - diceva - è un rapporto profondo che va avanti da molti anni. Per il Governo si tratta di capire che cosa possiamo fare per migliorare il rapporto». Il passato, quindi, o vale per tutti o non vale per nessuno.

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