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Meloni-Schlein, il giorno del duello in Abruzzo. Poi le Europee

Edoardo Romagnoli
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Oggi è il giorno in cui sapremo se a governare l’Abruzzo sarà il candidato di centrodestra Marco Marsilio o l’uomo del campo larghissimo Luciano D’Amico. Sono attesi alle urne, aperte dalle 7 alle 23, 1.208.276 elettori, di cui 592.041 uomini e 616.235 donne su una popolazione censita di 1.275.950 persone. Si voterà in 305 comuni abruzzesi per un totale di 1.634 sedi di seggi elettorali, di cui 13 ospedaliere. La sfida delle Regionali in Abruzzo sarà una corsa a due: a contendersi la guida della Regione sono Marco Marsilio e Luciano D’Amico. Marsilio, 56 anni, presidente uscente della Regione, si candida per un secondo mandato con sei liste in suo sostegno: Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Udc-Dc, Noi Moderati e Marsilio presidente. Anche D’Amico, 64 anni, professore ordinario all’Università di Teramo, di cui è stato anche rettore, è sostenuto da sei liste: Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Azione, Alleanza Verdi e Sinistra, Abruzzo Progressista e Solidale, Riformisti e Civici, Abruzzo Insieme. Sarà eletto presidente della Regione il candidato che avrà ottenuto il maggior numero di voti validi. Per il Consiglio regionale, invece, si rinnoverà un’assemblea di 31 membri, di cui sette consiglieri per ciascuna circoscrizione dell’Aquila, di Teramo e di Pescara e otto consiglieri per quella di Chieti. Oltre i 29 consiglieri eletti nelle liste circoscrizionali, secondo le norme, entrano a far parte di diritto dell’Assemblea anche il presidente eletto e il candidato alla carica di presidente che ha conseguito un numero di voti validi immediatamente inferiore.

 

 

Dal risultato di queste regionali, per quanto tutti si affannino a sostenere il contrario, dipendono tanti equilibri a livello nazionale, ma anche a livello europeo con le elezioni alle porte. Nel centrodestra occhi puntati su Giorgia Meloni, non a caso munita di elmetto, che dopo aver derubricato la sconfitta sarda a «incidente di percorso» ha deciso nuovamente di scegliere il nome anche in questa tornata. E quello di Marsilio non è un nome qualunque, con il governatore uscente Meloni è cresciuta politicamente nella sezione romana dei «gabbiani» di Colle Oppio e per questo viene percepito come un suo uomo, un meloniano di ferro. Se la debacle di Paolo Truzzu poteva essere spiegata con una campagna elettorale iniziata in ritardo una eventuale sconfitta di Marsilio rischia di incrinare i rapporti all’interno della maggioranza facendo, contestualmente, perdere punti al premier. La buona notizia è che a differenza della Sardegna stavolta il voto disgiunto non sarà possibile, chi voterà uno dei partiti della coalizione di centrodestra automaticamente darà la sua preferenza al candidato collegato e viceversa. Quindi nessun sgambetto all’orizzonte. Lei punta tutto sul «buon governo» di Marsilio. «Ha lavorato molto sul tema delle infrastrutture, ha costruito quattro nuovi ospedali. Si è occupata di problemi reali». Anche Matteo Salvini dovrà cercare di portare a casa un buon risultato, magari attestandosi come secondo partito dopo FdI. In caso contrario, o con una percentuale addirittura inferiore a quella presa in Sardegna (3,7%), potrebbe acuire i malumori all’interno del Carroccio già in fibrillazione, l’accusa che gli muovono da via Bellerio è quella di essersi reso subalterno a FdI e di aver snaturato il partito. I leghisti hanno sempre storto il naso di fronte alla trasformazione di una forza legata al territorio a una radicata a livello nazionale, ma fino a quando c’erano i risultati i mugugni rimanevano all’interno delle mura di via Bellerio, ora che i voti iniziano a mancare la situazione rischia di diventare esplosiva.

 

 

Situazione analoga nel centrosinistra dove è la Schlein a giocarsi la posta più alta anche se ovviamente il voto decisivo, come per Salvini, rimane quello di giugno. Lei ci crede, anche per questo si è profusa in un tour de force che l’ha portata cinque volte in Abruzzo in poco più di un mese toccando 35 comuni. Ma per non lasciare niente di intentato ha lanciato un appello sui social: «Mobilitatevi, fate una chiamata in più in queste ore per spingere questo progetto collettivo per il futuro dell’Abruzzo». In caso di vittoria la segretaria potrebbe rivendicare il fatto di essere stata l’unica tra tutti i partiti dell’opposizione a spingere per allargare, fino agli estremi, il campo della coalizione. Mentre Renzi, Conte e Calenda, seppur impegnati insieme nel carrozzone, si sono mostrati scettici fin dall’inizio, tanto che se un elettore fosse stato all’oscuro della loro presenza insieme nel campo larghissimo sentendo solo le loro dichiarazioni avrebbe tranquillamente potuto pensare che stavano correndo ognuno per conto suo. Forse anche per questo D’Amico, sul modello Todde, non ha voluto tutti i leader sul palco insieme perla chiusura della campagna elettorale. Ma sia per la destra che per la sinistra non è il momento dei distinguo, dopo l’Abruzzo toccherà alla Basilicata e solo successivamente arriverà il liberi tutti in vista delle Europee.

 

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