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Terzo Mandato, Bonaccini furioso con Schlein: il Pd si fa male da solo

Pietro De Leo
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Altro che il centrodestra. A spaccarsi sulla vicenda del terzo mandato ai governatori è il Pd. Sì, perché mentre nell’area di governo la bocciatura dell’emendamento Lega al dl elezioni viene derubricato (anche per voce dello stesso promotore, Matteo Salvini) a qualcosa che comunque non mette a repentaglio il governo, tra i dem invece si riaffaccia il duello tra correnti. Anche il Pd, infatti, ha votato contro la proposta leghista. Così, fonti di Energia Popolare, l’area che fa capo a Stefano Bonaccini, presidente del partito e dell’Emilia Romagna, fan filtrare il «forte disappunto per il voto» espresso. «Ci sarà da gestire il malcontento di sindaci e presidenti di Regione, e dopo il voto in Sardegna, se ne discuterà».

 

Il responsabile riforme della segreteria del partito, Alessandro Alfieri, osserva che «un percorso unitario è stato delegittimato e questo provoca amarezza». Non sono esattamente mozioni di concordia. Bonaccini, insieme a Vincenzo De Luca (Campania) e Michele Emiliano (Puglia) compone la terna dei Presidenti in corso di secondo mandato, tutti assai favorevoli per il terzo. Ma qui, il confine tra convinzione valoriale e tattica politica (la volontà di Schlein di disinnescare queste figure non allineate, per usare un eufemismo) si fa assai fumoso.

 

Capitolo centrodestra. Il Presidente del Veneto Luca Zaia la prende con citazionismo: «Natura non facit saltus». Nel senso, diamo tempo al tempo perché i cambiamenti avvengono per gradi. «Prendo atto del voto-dice all’Ansa- la strada è ancora molto lunga». L’emendamento della Lega al dl elezioni che introduce il terzo mandato per i Presidenti di Regione è appena stato bocciato in Commissione Affari Costituzionali al Senato e Zaia reagisce con il solito aplomb che gli è noto: niente strappi, niente decibel.

Pazienza, piuttosto. Lui è un po’ il cuore politico di questa vicenda. La Lega avrebbe voluto per lui un altro giro al timone della regione che incarna il modello Nord-Est. Fratelli d’Italia invece vuole chiudere l’era iniziata nel 2010 e da qui si è scatenato questo braccio di ferro. E però la questione è più ampia del zaiacentrismo, riguardando altri sei presidenti. In Liguria c’è Giovanni Toti, per esempio, che alla guida del suo movimento centrista è al secondo mandato. Anche lui non vorrebbe il limite.

Ha spiegato ieri che però la questione non è personale, anzi lui sarebbe disposto a mettere sul piatto il suo futuro in regione: «Io sono disponibilissimo al dibattit» sul tema, ha detto a Mattino 5. «Non so se vorrò fare il terzo mandato». Spiega che la legge sul terzo mandato e su “tutto ciò che riguarda i presidenti di Regione è stata recepita in modo diverso nelle Regioni, in Liguria ad esempio non è stata recepita subito”. E ha aggiunto: «Il terzo mandato in Liguria si potrebbe comunque fare, non lo dico per interesse personale, noi abbiamo modificato la legge elettorale nella passata legislatura e quindi la prossima sarà di fatto la seconda nella nuova era». Ieri sera, però, ha alzato un po’ il volume: «Sul terzo mandato c’è un gigantesco cortocircuito politico in una Repubblica dove i parlamentari contrari ad ulteriori mandati per governatori e sindaci talvolta siedano in Parlamento dagli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quindi una sorta di era geologica fa». Continuando la carrellata geografica, ecco Attilio Fontana (Lombardia) e Massimiliano Fedriga (Liguria). Anche loro coinvolti dalla questione, per quanto siano stati riconfermati entrambi nel 2023. Fontana ieri ha affermato: «Io sono convinto che dare la possibilità ai cittadini di valutare l'impegno, il lavoro e i risultati del proprio sindaco o del proprio governatore sia la strada maestra». Tuttavia, al di là delle differenze, il bilancio che nella maggioranza si trae a sera inoltrato, è quello di nessun dramma in corso. 

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