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Saluto romano, è reato solo se c'è il pericolo fascista

Dario Martini
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La Cassazione ha stabilito che il saluto romano si configura come apologia di fascismo, e quindi reato, quando c’è il «concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista». Il pronunciamento di ieri era molto atteso alla luce delle polemiche alimentate dalla sinistra in seguito alla commemorazione dei militanti del Fronte della Gioventù morti 45 anni fa ad Acca Larentia. La Suprema Corte si è espressa su un altro caso, ma allo stesso tempo molto simile, quello di otto persone condannate in appello (in primo grado erano stati tutti assolti) per aver fatto il saluto fascista in occasione di un’altra commemorazione, avvenuta il 29 aprile 2016, in memoria di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani, uccisi rispettivamente da esponenti di Avanguardia operaia nel 1975, di Prima Linea nel ’76, e dai partigiani nel ’45.

 

 

La Cassazione ha annullato il verdetto d’appello e ha disposto un nuovo processo. Il presidente del Senato Ignazio La Russa nei giorni scorsi è stato duramente attaccato per aver detto che il saluto romano secondo molto sentenze non è reato, motivo per cui è utile che la Cassazione faccia chiarezza. La decisione persa iera dagli Ermellini è utile proprio a stabilire dei punti fermi in un ginepraio di interpretazioni. Secondo i giudici, rispondere alla chiamata «presente» e fare il «saluto romano» nel corso di una manifestazione sono «rituali evocativi della gestualità del disciolto partito fascista» ed «integra il delitto previsto» dalla legge Scelba, ovvero l’apologia di fascismo. Ma ciò non basta: deve esserci anche un «concreto pericolo» della volontà di riorganizzare il partito fascista». Cosa che «ovviamente non avviene in una cerimonia commemorativa del presente», commenta l’avvocato Domenico Di Tullio, difensore di due degli imputati. Fonti della presidenza del Senato ricordano che La Russa «attendeva con interesse di conoscere l’esito della imminente decisione a sezione riunite della Cassazione» perché riteneva «occorresse chiarezza». Motivo per cui adesso «si limita a far sapere che la decisione della Cassazione che annulla la sentenza della corte di appello e dispone nuovo processo si commenta da sola».

 

 

Ciononostante la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Luana Zanella, torna a polemizzare: «Il presidente del Senato Ignazio La Russa avrebbe commentato con un certo sprezzo l’importante sentenza delle sezioni unite della Cassazione sul saluto romano. Pare che abbia detto "si commenta da sola". Proprio non riesce ad assumere il linguaggio e la postura che il suo ruolo impone». Dal momento che la seconda carica dello Stato non intende alimentare altri scontri dialettici, a rispondere ci pensa il presidente dei deputati di FdI Tommaso Foti: «La verde -sinistra Zanella davvero non capisce che la sentenza della Cassazione a sezioni riunite ha bocciato la condanna della Corte d’appello di Milano, basata sulla legge Mancino, e ha dato ragione alla assoluzione di primo grado, che si fondava sulla applicabilità della legge Scelba? Per chi mastica un minimo di diritto è tutto chiaro. La frase attribuita, secondo fonti informate, al presidente del Senato La Russa, "la sentenza si commenta da sola", lungi dall’essere "sprezzante", è semmai di rispettoso riconoscimento». A quando risale la legge Scelba che applica la XII disposizione transitoria della Costituzione sul reato di apologia di fascismo.

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