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Prima della Scala, l'ossessione della sinistra per il pericolo nero

Christian Campigli
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Un leitmotiv lungo ottanta, interminabili, anni. Una musica sempre uguale a se stessa, noiosa e stonata. Un mantra che, se negli anni Sessanta (forse) creava un collante tra gli elettori, oggi allontana i meno anziani. L'identificazione da parte della Digos dello spettatore che ha urlato «Viva l'Italia antifascista» alla prima della Scala ha scatenato non solo gli esponenti politici di sinistra, ma anche i leoni da tastiera. Che, sui principali social si sono scatenati ricordando come, in Italia, la democrazia sarebbe «sospesa». Per quale motivo? Ma è semplice: al governo c'è il centrodestra. E nella profonda (ma errata) credenze dell'universo progressista di avere una sorta di superiorità morale che consentirebbe loro di saper aprioristicamente suddividere il giusto dallo sbagliato, quando il popolo sceglie i moderati «compie un errore». Sia ben chiaro, l'episodio sopracitato è solo l'ultimo di un'interminabile serie. Il terrore di un ritorno ad una dittatura viene sollevato da quelli che Leonardo Sciascia chiamava «i professionisti dell'antifascismo» almeno una volta al mese. 

 

 

Basti pensare alla surreale polemica che ha coinvolto il sindaco di Genova, Marco Bucci, quando ha deciso di stanziare nel bilancio comunale per il 2024 1,750 milioni di euro per il «Sacrario in commemorazione dei caduti della Repubblica Sociale Italiana» nel cimitero monumentale di Staglieno. Una decisione che l'Anpi non ha digerito. «Il sindaco dovrebbe sentir scorrere sulle sue spalle il sangue dei partigiani. Mai avremmo pensato di vedere un'iniziativa tanto abietta». E che dire del Pd fiorentino? Per una settimana il primo cittadino, Dario Nardella e il coordinatore della segreteria toscana Andrea Giorgio hanno chiamato a raccolta la «piazza» per protestare contro la legittima decisione della Lega di organizzato, sulle rive dell'Arno, una kermesse denominata «Europa Libera», alla quale hanno partecipato dodici leader continentali. Un pericolo, quello fascista che, puntualmente (come ricordò Giovanni Donzelli durante l'iniziativa di Fdi ad un anno dall'inizio della legislatura) «viene fuori o prima delle elezioni o quando queste ultime vengono vinte dal centrodestra».

 

 

Come dimenticarsi del segretario dem, Elly Schlein, che, alla fine di agosto, partecipò al congresso del Partito Socialista svizzero. In quell'occasione, la nativa di Lugano, sottolineò come «in un momento come questo, dove vediamo troppi pericolosi rigurgiti di nazionalismo e soprattutto di negazionismo della storia, con pensiero che possiamo ancora definire fascista». Se si va ancora più a ritroso nel tempo, è dimenticare impossibile la grottesca lettera indirizzata ai propri alunni e scritta dalla preside del liceo Leonardo da Vinci, Annalisa Savino, dopo la scazzottata tra studenti di fronte al liceo Michelangiolo di Firenze. «Il fascismo in Italia è nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a sé stessa da passanti indifferenti. Siate consapevoli che è in momenti come questi che i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. 

 

 

Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza. Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in ​​contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, contrastati con le idee e con la cultura. Senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così». La sinistra si schierò a difesa della Savino e contro il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Valditara che, giustamente, bollò la missiva come «del tutto impropria». L'ultimo, ma non meno importante riferimento va lasciato a Enrico Letta. Il fu segretario del Pd ha imposto l'intera campagna elettorale contro Giorgia Meloni sul pericolo fascista. E non gli andò esattamente bene. Il resto, come si dice in gergo, è storia.

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