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Salario minimo, la Cgil adesso lo chiede ma è sempre stata contraria

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Dario Martini
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«L’introduzione del salario minimo potrebbe favorire una fuoriuscita dall’applicazione dei contratti collettivi nazionali del lavoro rivelandosi così uno strumento per abbassare salari e tutele delle lavoratrici». Pare scontato che questa riflessione provenga da un esponente del governo. Magari proprio da Giorgia Meloni, che più volte nelle ultime settimane ha messo in guardia da questo rischio concreto. E invece no. A sottolineare i "pericoli" intrinsechi ad una paga minima oraria fissata per legge è nientemeno che la Cgil in una memoria depositata il 12 marzo 2019 in commissione Lavoro al Senato dove si discuteva, appunto, dell’ipotesi di introdurre il salario minimo. Maurizio Landini era segretario del sindacato da neanche due mesi.

 

Al governo c’erano i 5 Stelle, che già allora avevano il pallino dello stipendio minimo garantito. La Cgil fu chiamata ad esprimere il suo parere in audizione insieme a Cisl e Uil. Ed è in questa occasione che i tre sindacati confederali produssero un documento congiunto che evidenziava tutti i rischi legati al salario minimo. Il sindacato "rosso" non ha mai nascosto i suoi dubbi su una misura di questo tipo. Poi, con l’arrivo di EllySchlein alla guida del Pd, la Cgil ha iniziato a cambiare parere. Nonostante i «dubbi» e le «riserve» mostrati in passato, oggi Landini ha sposato il cavallo di battaglia grillino su cui è saltata anche la segretaria dem. Alla vigilia di Ferragosto, intervistato da La Stampa, ha tuonato: «Bisogna fissare un salario minimo orario sotto a cui nessuno può essere pagato».

 

A questo punto, conviene leggere ancora quanto sosteneva la Cgil, da lui diretta, nella scorsa legislatura. Il documento è sempre la memoria depositata in commissione al Senato: il rischio di abbassare i salari «diviene maggiormente concreto stante la diffusa struttura di piccole e micro imprese presenti nel tessuto economico italiano e la natura della validità della contrattazione collettiva nel nostro Paese». E ancora: «Con l’introduzione del salario minimo legale rischiamo che un numero non marginale di aziende possano, appunto, disapplicare il Ccnl di riferimento (semplicemente non aderendo a nessuna associazione di categoria), per adottare il solo salario minimo e mantenere "ad personam", o contrattazione individuale, i differenziali a livello retributivo, senza dover erogare né il salario accessorio né rispettare le tutele normative che il Ccnl garantisce. La struttura dell’economia italiana e le caratteristiche di molte piccole e micro imprese rischiano di favori re in misura esponenziale una vera e propria diaspora dalla contrattazione nazionale».

 

Un vero e proprio «effetto collaterale». Potrebbe anche «costituire un fortissimo disincentivo al rinnovo di alcuni contratti nazionali, relativi a settori ad alta intensità lavorativa, a basso valore aggiunto e a forte compressione dei costi». Anche il Partito democratico, sempre nella scorsa legislatura, in una proposta sostenuta da Tommaso Nannicini evidenziava la necessità di «non impiccarsi in cifre fisse fissate ex lege». Il motivo? Se per legge si fissa una cifra troppo alta si crea lavoro nero; se troppo bassa si crea una fuga dalla contrattazione collettiva, indebolendo i lavoratori. Raccomandazione presto dimenticata, visto che Schlein non ha avuto dubbi quando ha scelto di condividere i 9 euro l’ora proposti dal M5S. 

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