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Meloni e la diplomazia dei viaggi: così il Piano Mattei ha preso forma

Francesca Musacchio
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Per la presentazione ufficiale bisognerà aspettare ancora, forse ottobre. Domani, intanto, la "Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni", sarà il momento giusto per gettare solide basi del Piano Mattei per l’Africa, proprio con i leader europei e arabi. Nel frattempo, i lavori all’interno del governo sono iniziati da tempo. Il premier Giorgia Meloni ne ha parlato in diverse occasioni, senza svelarne i dettagli, sottolineando che sarà un «modello di cooperazione non predatorio, in cui entrambi i partner devono poter crescere e migliorare». A vantaggio, quindi, di entrambe le sponde del Mediterraneo per provare a creare condizioni economiche migliori nei Paesi di partenza e di transito del flusso di immigrazione clandestina che arriva sulle nostre coste. Nei primi mesi a Palazzo Chigi, Meloni si è recata in Algeria, Libia, Etiopia e Tunisia. In alcuni casi, sono stati già firmati accordi e memorandum d’intesa per provare a percorrere parallelamente i due binari cuore del Piano: l’energia e l’immigrazione. Creare sviluppo nei Paesi coinvolti nella rotta, potrebbe aiutare a governare il fenomeno che, negli ultimi mesi, si è notevolmente ingrandito. Libia, Tunisia, Algeria, Etiopia e altri, sono paesi di partenze ma soprattutto di transito all’interno dei quali confluiscono enormi masse di persone che, a seconda del caso e delle esigenze, intraprendono una diversa rotta (quasi sempre clandestinamente) che li porta fuori dal Continente. E sempre più spesso, i Paesi di transito non hanno la capacità di contenere questi flussi per mancanza di strumenti, instabilità politica e crisi economica. Lavorare su questi fattori, dunque, sarebbe il filo conduttore dell’intero Piano. 

 

 

Il programma di domani, infatti, dovrebbe gettare le basi proprio per lo sviluppo del Piano Mattei con l’obiettivo, spiega una nota di Palazzo Chigi, di «avviare un percorso internazionale per attuare misure concrete per la crescita e lo sviluppo del Mediterraneo allargato e l’Africa; affrontare le cause profonde dei flussi irregolari per sconfiggere l’attività criminale dei trafficanti di esseri umani; individuare soluzioni a tutela dell’ambiente cogliendo le sfide della diversificazione energetica e del cambiamento climatico». E sull’immigrazione, che nel frattempo quest’anno ha già portato in Italia 83.439 persone, l’obiettivo è il contrasto al traffico di essere umani per governare il fenomeno. Sul tavolo, già da domani, ci sarà «la pianificazione e la realizzazione congiunta di iniziative e progetti in sei settori principali: agricoltura; energia; infrastrutture; educazione-formazione; sanità; acqua e igiene». Altro elemento fondante del progetto sarebbe quello di trasformare l’Italia nello snodo energetico per rifornire di gas l’Europa. I viaggi in Algeria e Libia hanno già evidenziato questo passaggio con la firma di accordi per implementare i flussi da quei paesi verso l’Italia, e non solo per ridurre significativamente la dipendenza da Mosca. Sullo sfondo, è possibile intuire l’ambizione del governo Meloni di aumentare la nostra influenza nel Mediterraneo attraverso l’energia. Un obiettivo che porta con sé quello della diversificazione dell’approvvigionamento energetico per creare quella sicurezza messa in discussione dallo scoppio della guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni contro la Russia. Al momento, il piano italiano prevede la riduzione totale della dipendenza da Mosca entro il 2025. Nel frattempo, nelle more del Piano Mattei ci sono gli accordi con Algeria e Libia per aumentare le forniture. 

 

 

A tal proposito, altri due Paesi di interesse sono Azerbaigian ed Etiopia, dove Meloni è stata ad aprile. Il grande tema, però, resta l’instabilità politica soprattutto di alcuni Paesi coinvolti nel progetto. Fattore che potrebbe rallentarne lo sviluppo. La Libia, ad esempio, da anni rincorre la stabilità resa difficile da una serie di attori in campo, tra cui anche Paesi esteri. Da qui il flusso di immigrati verso le nostre coste non è mai cessato, anzi. In Tunisia, nonostante la presenza di un governo eletto, le condizioni economiche e sociali sono critiche. Il Paese rischia il default e la presenza di sub-sahariani diretti in Italia rischia di trasformarsi in una bomba sociale. E in Etiopia le cose non vanno meglio. Il Paese ospita il maggior numero di rifugiati e richiedenti asilo che da lì si muovono per raggiungere il nord del’Africa nella speranza di salire su un barcone che li trasporti in Europa.

 

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