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Migranti, Meloni riceve Haftar: faccia a faccia per fermare i barconi

Francesca Musacchio
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Due ore. Tanto è durato il colloquio a Roma tra Giorgia Meloni e Khalifa Haftar. Il generale libico, uomo forte della Cirenaica, è arrivato nella Capitale mercoledì e in serata ha incontrato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Ieri, invece, è stato ricevuto a Palazzo Chigi dal premier. Un interlocutore inevitabile in Libia, soprattutto per quello che riguarda i flussi migratori. E proprio su questo punto, infatti, si è concentrato il colloquio, oltre che sulle elezioni nel Paese (l’Onu lavora affinché avvengano entro il 2023) e la situazione in Sudan, strettamente legata all’immigrazione che parte dalla Libia e fonte di ulteriore instabilità dell’area.

Quanto sta accadendo, infatti, preoccupa il governo italiano e il Premier ha voluto manifestarlo ad Haftar nella speranza, forse, di un intervento per arrivare almeno ad un cessate il fuoco duraturo per scongiurare, in parte, l’esodo verso la Libia e di conseguenza verso le coste italiane.

Nel Paese nordafricano, secondo fonti de Il Tempo, i sudanesi sono già arrivati numerosi, proprio nella zona di influenza di Haftar. E sempre da lì che, negli ultimi mesi, è partito più della metà dei migranti che sono arrivati in Italia attraverso il Mediterraneo. E in Cirenaica è presente anche il gruppo di mercenari russi Wagner, sospettato di aver avuto un ruolo fondamentale nella destabilizzazione del Sudan e nel tentato colpo di Stato da parte del generale Dagalo. Il ruolo di Haftar nella crisi sudanaese, invece, resta sfumato. Ciò che è emerso, al momento, è il viaggio del figlio Siddiq a inizio aprile, quando avrebbe incontrato a Khartum proprio il generale Dagalo.

Parlare con Haftar, dunque, era più che mai prioritario. Durante la visita del premier in Libia, avvenuta il 28 gennaio scorso, Meloni non si è recata in Cirenaica, ufficialmente per problemi di salute del generale. Da lì i rapporti sono rimasti sospesi. Fino all’incontro di ieri che ha riattivato un percorso inevitabile: sedersi al tavolo con Haftar, soppesarlo, capire fino a che punto può e vuole spingersi, quali patti è disposto ad accettare per contribuire alla stabilizzazione della Libia, cosa vuole in cambio. Secondo fonti libiche, il generale pretende dalla comunità internazionale la legittimazione a partecipare al voto. Senza questo via libera, infatti, non sarebbe possibile avviare alcuna trattativa. E di questo, spiegano fonti diplomatiche, sarebbero tutti consapevoli. Attualmente la Libia è divisa in due: da un parte Tripoli sotto l’influenza del premier Dabaiba, dall’altra la Cirenaica dove comanda Haftar che, tra l’altro, è abituato a dialogare direttamente con le potenze che giocano nell’area, senza intermediari.

L’orizzonte delle elezioni nel 2023, ipotesi lanciata a febbraio dall’inviato dell’Onu Abdoulaye Bathily, è stata accolta con freddezza sia da Tripoli che da Bengasi e al momento permane una situazione di stallo. La visita di Haftar a Roma, però, ha portato con sé qualche tensione con i cugini Oltralpe. L’incontro tra Giorgia Meloni e il generale avrebbe urtato la suscettibilità della Francia che, al momento, pare abbia in cantiere un’altra Conferenza sulla Libia da tenere a Parigi. La visita di Haftar a Roma dunque, nella lettura francese, avrebbe tagliato la strada a questa operazione. Da qui le parole del ministro dell’Interno, Gerald Darmanin, arrivate proprio nel giorno dell’incontro tra il presidente del Consiglio italiano e il generale. La premier Giorgia Meloni «non è in grado di risolvere i problemi migratori» dell’Italia, ha detto, un paese che sta vivendo una «gravissima crisi migratoria».

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