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Alfonso Bonafede rispunta alla giustizia tributaria: a segno il blitz M5s

Gaetano Mineo

L’ex politico grillino appare «immortale». E così dopo Luigi Di Maio, che si appresta a volare verso il Golfo Persico alla conquista di una poltrona Ue, e altri che citeremo in seguito, torna in pista Alfonso Bonafede. L’ex ministro grillino della Giustizia nei governi Conte I e II, persa la poltrona di via Arenula, e dopo che l’Antitrust gli ha impedito per un anno di riprendersi il suo vecchio studio da avvocato, torna in scena grazie a un generoso Giuseppe Conte che continua a piazzare i suoi fedelissimi. Come dire un efficiente «navigator», il leader del M5s che con un colpo, è riuscito a collocare Bonafede, «trombato» per il limite del secondo mandato, e allo stesso tempo mettere all’angolo il Pd, segnando ancor di più il solco che divide Conte dalla segretaria I Pd, Elly Schlein.

 

  

In base agli accordi raggiunti tra maggioranza e parte delle opposizioni, le preferenze sono convogliate, per il consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, su Eva Sonia Sala e Francesco Urraro (Lega). Per il consiglio di presidenza della Corte dei conti, su Filippo Vari e Vito Mormando e per il consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, su Carolina Lussana (Lega) e Bonafede (M5s), come detto. I deputati del Pd non hanno partecipato alla votazione per eleggere sei membri laici dei cosiddetti «Csm delle magistrature speciali».

 

La capogruppo Dem, Chiara Braga, denuncia una «totale violazione della parità di genere: solo due donne su sei componenti da eleggere. È una cosa per noi del Pd inaccettabile, e dispiace che non sia lo stesso per altre forze dell’opposizione». A contrariare il Pd, in realtà, è soprattutto il fatto che sui 12 posti totali in palio (altri sei membri sono eletti dal Senato), la maggioranza ne ha tenuto per sé nove (come già accaduto per il Csm ordinario, quando ne prese sette su dieci).

«Avevamo posto da settimane due questioni di principio fondamentali» su composizione e rispetto della parità di genere, ma «la maggioranza ha tirato dritto», denuncia Schlein. Anche i deputati dell’Alleanza Verdi e Sinistra si sono astenuti. Insomma, il Pd in questa spartizione è rimasto isolato, mentre Conte gongola. E dire che proprio questi ex grillini «riciclati» sparavano a zero sui parlamentari mestieranti, a loro dire, perché erano incollati alle poltrone. Decenni di litanie in tutte le salse. Ora, invece, finita la tanto sbandierata rivoluzione e molti restati a spasso, continua la corsa al riciclo.
Come, Roberto Fico, divenuto consigliere di Conte restando, allo stesso tempo, a Palazzo Madama dove usufruisce di un ufficio e di benefit in qualità di ex presidente della Camera. Conte ha collocato negli uffici grillini di Montecitorio anche gli ex Vito Crimi e Paola Taverna. C’è invece chi ha preferito riciclarsi in politica. È il caso dell’ex viceministra piemontese Laura Castelli, un tempo al Mef e ora è portavoce del movimento Sud chiama Nord, guidato dal pirotecnico Cateno De Luca. O come l’ex sottosegretario alle Infrastrutture che dopo essere stato «trombato» da Conte giorni fa è passato a Forza Italia, definendola «una famiglia di valori».

 

Ma, a dire il vero, c’è anche chi ha scelto la via del lavoro. Per l’ex capogruppo Francesco D'Uva si sono aperte le porte della caserma: ora è ufficiale della Marina Militare, posto per cui aveva vinto un concorso prima ancora di arrivare a Montecitorio. Mentre Stefano Buffagni, acquisita l’esperienza al ministero dello Sviluppo Economico, oggi fa il commercialista per grandi fondi di investimento. Poi c’è Riccardo Fraccaro, ricordato come il papà del Superbonus, la norma per riqualificare i palazzi e le case con un efficientamento energetico, che è rimasto proprio nel campo dell'energia. Infine, Danilo Toninelli. L'ex ministro delle Infrastrutture e Trasporti, è tornato al suo vecchio mestiere, l’assicuratore. Avrebbe aperto una sua agenzia assicurativa a Milano.