eredità grillina

Il governo Meloni paga ancora gli errori del M5S

Dario Martini

Il governo si è posto l’obiettivo di riparare i danni causati negli ultimi anni da alcune misure targate Movimento 5 Stelle. Giorgia Meloni tira dritto su questa strada anche se alcune decisioni possono risultare poco gradite a una parte dell’elettorato. Un mese fa il presidente del Consiglio lo ha detto senza tanti giri di parole: «Non dobbiamo temere scelte impopolari». E citando Garibaldi, ha aggiunto: «Qui si fa l’Italia o si muore». La stretta sul superbonus, con lo stop alla cessione dei crediti, è solo l’ultimo intervento in tal senso. Ma rispondono alla stessa logica anche l’abolizione del reddito di cittadinanza e l’intenzione di ripristinare l’istituto della prescrizione così com’era prima della riforma Bonafede, a sua volta modificato dalla ministra Cartabia. Nel motivare la decisione sul superbonus, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha spiegato che lo stop alla cessione dei crediti è stato «necessario per bloccare gli effetti di una politica scellerata usata anche in campagna elettorale che ha prodotto beneficio per alcuni cittadini ma posto alla fine in carico a ciascun italiano duemila euro a testa». Il titolare di via XX Settembre non ha citato l’autore di questa «politica scellerata», non ce n’era bisogno. Giuseppe Conte la rivendica ancora oggi, nonostante il totale dei bonus erogati abbia generato una spesa di 120 miliardi per le casse dello Stato. Per venire incontro alle imprese, nelle ultime ore è emersa l’ipotesi della cartolarizzazione dei crediti. Proposta lanciata dal capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, secondo il quale «tutti possiamo dire che il provvedimento può essere migliorato, ma non possiamo mettere a rischio i conti pubblici». Noi comunque «siamo pronti a modifiche».

 

  

 

Certo è che il governo tirerà dritto. Come ha fatto quando ha detto addio, seppure in modo graduale, al reddito di cittadinanza, che il prossimo anno sarà sostituito da due misure, una di lotta alla povertà, l’altra sulle politiche attive. Occorre ricordare che la riforma inserita nell’ultima legge di bilancio prevede lo stop al sussidio dal prossimo agosto per tutti i beneficiari considerati occupabili. Nel 2022 la misura che si prefiggeva di «abolire la povertà» introdotta dal primo governo Conte è costata 8 miliardi di euro. Meloni lo ripete ogni volta che ne ha occasione: «Lasceremo la massima tutela a tutti coloro che non possono lavorare, agli over 60 e a chi è senza reddito e ha minori a carico, ma sono convinta che uno Stato giusto non mette sullo stesso piano dell’assistenzialismo chi può lavorare e chi non può». O per citare un’altra frase ad effetto del premier: «Tra il reddito di cittadinanza e rubare c’è l’opzione di lavorare». Senza contare che pochi giorni fa la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia per il criterio della residenza di almeno 10 anni necessaria per ottenere il Reddito. Si tratterebbe di una norma discriminatoria nei confronti dei cittadini europei, che non potrebbero accedere al sussidio senza la residenza continuativa in Italia.

 

 

Poi c’è il capitolo giustizia, da sempre uno dei terreni di scontro maggiori in Parlamento. In occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario dell’Unione delle Camere penali a Ferrara, il Guardasigilli Carlo Nordio ha espresso la volontà di modificare la legge sulla prescrizione. La normativa attuale fa riferimento alla riforma Cartabia (ministra della Giustizia del governo Draghi), che a sua volta ha modificato il cosiddetto «Spazzacorrotti» del pentastellato Alfonso Bonafede. Quest’ultimo aveva stabilito che la sentenza di primo grado sospendesse il corso della prescrizione fino a sentenza definitiva. Cartabia ha mantenuto la norma, ma ha introdotto una nuova regola per l’improcedibilità. Un processo, infatti, viene dichiarato improcedibile se non si conclude entro due anni in Appello e un anno in Cassazione. Restano fuori i reati più gravi puniti con l’ergastolo. «La nostra concezione del diritto penale è di non lasciare impunito il delitto e non condannare l’innocente - ha spiegato Nordio - Anche però non sottoporre l’innocente a un processo inutile, lungo e costoso. Vige il principio della ragionevole durata del processo: senza incidere su garanzie di difesa e modificando, come faremo, la legge sulla prescrizione, che ha introdotto un principio di improcedibilità». Insomma, avanti con scelte forse impopolari ma giudicate necessarie.