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Anche Zingaretti demolisce il Pd: non mi piace l'aria che tira. Psicodramma dem

Daniele Di Mario

Anche a Nicola Zingaretti questo Pd non piace. L'ormai ex governatore del Lazio demolisce senza mezzi termini il proprio partito parlando da Lucia Annunziata nel corso di «Mezz' ora in più». «A me non piace l'aria che si respira nel Pd e non possiamo solo aspettare il congresso», dice Zingaretti, secondo il quale «dobbiamo organizzare al più presto l'opposizione in Italia. Si può cambiare anche ora», senza aspettare il congresso.

 

  

A non convincere il neodeputato Dem è «la parola cambiare». «In 15 anni- ricorda Zingaretti- il Pd ha cambiato 10 segretario e non ha cambiato l'empatia con il Paese. Non possiamo solo aspettare il congresso, c'è un gruppo dirigente che potrebbe fare tantissime altre cose, noi siamo quelli che devono creare giustizia in questo Paese per le persone».
Più che il leader, per Zingaretti, contano le idee. «Rimaniamo l'unico partito non del leader ma della democrazia italiana - dice Io darò un amano a chi si candiderà. Ma prima di dire Tizio, Caio e Sempronio, penso sia un diritto di queste persone dire che cosa pensano della sconfitta e come ci rimettiamo in piedi».

 

L'attenzione dell'ex segretario si concentra naturalmente sulle elezioni regionali e sulla fine del campo largo. L'ex governatore non risparmia critiche a Giuseppe Conte e Carlo Calenda. «Noi combatteremo per vincere, quello che critico è che hanno distrutto l'alleanza - accusa Zingaretti È un errore della politica nazionale l'ingerenza nella politica regionale. Critico chi non capisce che prima degli interessi del partito c'è il bene del Paese. Il M5S sta facendo grave errore». Per Zingaretti Conte «ha fatto pesare la politica nazionale nelle vicende dei territori» così «come Calenda che ha sempre il piglio di dire che l'unità si fa solo intorno a lui».

Sono «follie figlie di cultura dei partiti personali, patologia della democrazia». Una «classe politica - dice - che non capisce che prima degli interessi di partito c'è il bene comune di questo Paese, lasciando così spazi alla destra». Nonostante tutto, il Pd in Regione Lazio può rivincere. «Ho fiducia in Alessio D'Amato da 10 anni, è un ottimo candidato per vincere e gli chiedo di sforzarsi per allargare l'alleanza, altrimenti rischiamo», conclude Zingaretti.

 

Sul tema torna anche Goffredo Bettini. «Sono per la decisione di sostenere Alessio D'Amato come candidato Pd alla presidenza della Regione Lazio. Ho saputo della sua candidatura dalle agenzie, anche se mi danno del regista...
scherza al Caffè di Radio24 - Stimo D'Amato, è un buon candidato, ma sono sconcertato dallo schieramento politico». «Conte non ha aiutato -osserva il dirigente Dem- Quando si vuole un processo unitario non si pongono delle condizioni inderogabili. Però l'esito poteva essere diverso, magari con lo stesso candidato ma con diverso schieramento politico. Si potevano fare le primarie, alle quali D'Amato aveva tantissime possibilità di vincere».

 

Per Bettini «Calenda ha fatto dei danni forti al Pd e alla prospettiva unitaria del centrosinistra». Sulla Lombardia, invece, Bettini chiude in modo netto all'ipotesi di convergere sulla candidata del Terzo Polo Letizia Moratti. «Dobbiamo smetterla di cercare sempre il Papa straniero. Dobbiamo smettere di pensare che per vincere dobbiamo travestirci da destra - taglia corto - Stimo Moratti ma fa parte organicamente della destra lombarda. La proposta di una sua candidatura per me è inaccettabile. Come facciamo a coinvolgere quella parte di elettorato che non vota perché non vede più certi valori al centro della nostra azione, se facciamo scelte di questo genere?».

Bettini non risparmia critiche neppure alla classe dirigente del Nazareno. «Il Pd - osserva - da quando è nato ha fatto del gran bene all'Italia. Abbiamo difeso la democrazia, abbiamo rimediato a tanti guai che aveva provocato la destra. Le forze migliori che hanno governato nel Conte 2 e nel governo Draghi sono stati i ministri del Pd. Nell'ultimo governo quello che davvero ha fatto una battaglia coerente, insistente e concreta sui temi del lavoro, del reddito di cittadinanza, del salario minimo è stato Andrea Orlando. Ma - ammonisce Bettini - il Pd è stato al governo anche senza aver vinto le elezioni. Solo di governo si può morire nel senso che da quella dimensione non si riesce a cogliere quello che avviene nella società, soprattutto in una società così difficile come quella di oggi». «La nostra funzione di responsabilità non si è accompagnata all'elemento della novità - prosegue Bettini - Abbiamo sindaci veramente bravi. Se il Pd si può rifondare, deve partire dalla grande qualità della sua classe dirigente sul territorio. Penso a Matteo Riccia Pesaro, Matteo Lepore a Bologna, Dario Nardella a Firenze, Gaetano Manfredi a Napoli».

Quanto al capo politico M5S, «ho compreso, anche se è stato un errore politico farlo cadere, le ragioni di Conte sul malessere verso il governo Draghi. Draghi, che è stata un'esperienza provvidenziale ma transitoria, si stava trasformando nella testa di alcuni in una sorta di soluzione permanente della crisi italiana, mettendo da parte i partiti e svalutando il ruolo del Parlamento». «Sul congresso Pd -ragiona Bettini - mi imbarazza parlare delle persone. Do un contributo di idee, aspettando di vedere chi se la sente di interpretarle. Per me conta la linea: il Pd deve scegliere una strada, o quella apologetica dello sviluppo così com' è o quella critica. Io sono per quella critica. Vediamo quale dei candidati si avvicinerà di più a queste mie preoccupazioni». Intanto per sabato 19 è stata convocata l'Assemblea nazionale che si svolgerà on line in videoconferenza e voterà sulla modifica dello Statuto per «l'inserimento di una norma transitoria per l'avvio del procedimento congressuale».