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Matteo Piantedosi blocca le Ong e Meloni pressa l'Europa. Sprint sul dossier sbarchi

Carlantonio Solimene
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Da un lato l’applicazione alla lettera dei decreti Sicurezza per bloccare gli sbarchi delle Ong, «anche per lanciare un messaggio ai partner» europei. Dall’altro il necessario lavoro in seno alle istituzioni continentali. Senza il cui aiuto la questione migranti resta impossibile da affrontare. È su queste due direttrici che il governo Meloni intende muoversi per gestire quella che, nell’anno in corso, è tornata a rappresentare un’emergenza. Nei primi dieci mesi del 2022, infatti, gli arrivi sulle coste italiane hanno superato di oltre il 50% quelli del 2021. E quanto sia complicato arginare il fenomeno lo confermano le notizie degli ultimi giorni. «Le buone condizioni meteo ci stanno mettendo in seria difficoltà perché continuano ad arrivare migranti incessantemente. Giovedì ne sono stati trasferiti più di 500 con la nave umanitaria» ha detto a Italpress il sindaco di Lampedusa Filippo Mannino. Altri quattro sbarchi sull’isola, per un totale di sessanta migranti, sono stati registrati ieri. Lo stop alle due Ong ipotizzato martedì dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi è, insomma, la classica goccia nel mare. Ma ha un valore simbolico: «Abbiamo applicato la legge, i famosi decreti Sicurezza rivisitati ma che sono rimasti sostanzialmente nel loro impianto» ha spiegato Piantedosi a "Porta a Porta". «Vogliamo lanciare un messaggio ai partner. La condivisione deve esserci non a sbarco avvenuto, ma la presa in carico deve partire subito», ha aggiunto.

 

 

 

Il segnale, in realtà, è stato lanciato anche dalla premier in persona. Ieri, infatti, Giorgia Meloni ha sentito al telefono il Cancelliere tedesco Olaf Scholz e, tra le altre cose, si è parlato di migranti. Ovvero della necessità di una missione europea in grado di impedire le partenze dalle coste africane e del dovere degli Stati membri di condividere con l’Italia il peso dell’accoglienza, in proporzione alle proprie possibilità. Concetto che Meloni aveva già affrontato de visu con Emmanuel Macron.

Il dibattito nella Ue è quindi avviato. Ma le soluzioni ipotizzate sono lungi dall’essere quelle auspicate dall’Italia. Ieri il portale Politico.eu riferiva di una bozza preparata dalla presidenza ceca dell’Ue che sarà presto esaminata dalla Commissione. Nel documento si invitato gli Stati membri a considerare una soglia minima annuale per le ricollocazioni. Vengono suggerite 5 mila o 10 mila come opzioni possibili, ma si tratterebbe comunque di un’adesione volontaria. Una strada che, in passato, ha dimostrato tutte le sue lacune.

La via maestra, per Piantedosi, sarebbe la riattivazione da parte della Ue della missione Sophia. Che nel 2015, quando fu varata, prevedeva l’embargo alle armi alla Libia, l’addestramento della guardia costiera libica e lo stop alle partenze dal nord Africa. Peccato che quest’ultima fase non venne mai attuata. Ora il governo italiano tornerà alla carica in tutti i vertici destinati alla questione, e dall’eventuale accordo sul punto dipenderà molto del successo nel dossier.

Dossier che, peraltro, suscita sensibilità simili anche nella Gran Bretagna del neopremier Rishi Sunak. Che sarà pure un britannico di seconda generazione di origini indiane e quindi «esempio dell’integrazione», come ha ricordato in Senato Matteo Renzi, ma sul fronte dell’immigrazione sembra intenzionato a usare il pugno duro. Ieri, infatti, ha sentito Macron per ottenere un accordo con Parigi che limiti il più possibile le traversate della Manica. Segno che la gestione dei flussi è una questione di ordine pubblico assai difficilmente riducibile alla categoria del «razzismo».
 

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