corsa alla poltrona

Il post-Letta è già partito col caos: nel Pd tutti si candidano per fare il segretario

Pietro De Leo

Pronti, via! In realtà nessuno ha sparato il colpo a salve, ma la gara è partita, da sola, con scatti felini dei corridori a blocchi di partenza che nessuno aveva fissato. Il traguardo è la segreteria Pd. Con Matteo Orfini, che dei dem fu presidente, a twittare sconsolato: «Con una media di due autocandidature al giorno, se siamo bravi nel giro di un paio di mesi possiamo arrivare a una sessantina di candidati a un congresso che non è nemmeno stato convocato». E dunque è tutta qui l'essenza di un caos post elettorale, tanto che Enrico Letta, con una leadership ridotta al ruolo di vigile urbano che dirige il traffico interno, ha convocato una direzione il 6 ottobre per invitare tutti a darsi una calmata. E già, perché se il traghettatore vuol traghettare, i contendenti paiono una gran voglia di fargli prendere il largo, e agguantare il timone. C'è Stefano Bonaccini, Presidente dell'Emilia Romagna, un big della comunicazione politica che studia da leader sin quando fermò l'avanzata salviniana nel 2020, riconfermandosi alla guida di una Regione che pareva contendibile dal centrodestra (allora) a trazione leghista. Lo fece opponendo un modello di governo e un impatto iconografico di se stesso: barba curata, fisico palestrato, linguaggio non troppo bellicoso. Ha una competitor in casa: la sua vice Elly Schlein. Giovane, veloce, mediaticamente molto molto presente. Suggestionai cercatori di un'«anti-Meloni», per quanto l'esponente dem sia un campionario vivente di tutte le bandierine ideologiche politicamente corrette di cui gli elettori hanno dimostrato non poterne più.

 

  

 

Sempre dall'Emilia Romagna arriva un altro nome in campo, Paola De Micheli. Ministro dei trasporti del governo Conte2, ebbe le sue tribolazioni per la gestione dei mezzi pubblici ai tempi del Covid. Qualche idea strampalata (tipo una ciclabile sul Ponte sullo Stretto) e un ricordo non molto positivo lasciato alle zone terremotate nel 2016 per via della sua esperienza da Commissaria alla Ricostruzione. In corsa preventiva anche Giuseppe Provenzano, già ministro per il Mezzogiorno (sempre nel Conte2), un passato allo Svimez e un presente da vicesegretario Pd con numerose esondazioni verbale nei confronti di Fratelli d'Italia, che qualche mese fa definì «fuori dall'arco repubblicano». Presenza nutrita, poi, quella dei sindaci. Ha ventilato la sua disponibilità Dario Nardella, primo cittadino di Firenze che ha attraversato bene, negli anni, la recisione del cordone ombelicale con Matteo Renzi, di cui era gran sodale negli anni buoni.

 

 

E ancora Matteo Ricci, fascia tricolore a Pesaro e volto molto mediatico che corre lungo l'avvicendarsi di varie segreterie, dall'ex rottamatore in poi. Svolazzano anche i nomi del barese Antonio Decaro, presidente Anci, e del bolognese Matteo Lepore, che quando vinse lo scorso anno fece sussultare molti cuori (solo a sinistra, ovviamente) per via di un certo nostalgismo prodiano. E che dire di Andrea Orlando? Il ministro del lavoro uscente è un nome papabile, papabilissimo, ha maldigerito la rottura con il Movimento 5 Stelle ed è esponente di una nuova generazione che affonda le radici nella storia diessina. Insomma, il condominio virtuale è affollatissimo, e con tutti questi candidati, la carta per le mozioni congressuali coprirebbe la distanza di qui alla Luna.