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Rivoluzione in Europa, ora comandano le donne. Come cambia la politica

Dario Martini
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Ad aprire la strada è stata Margaret Thatcher nel 1979 quando divenne la prima donna premier del Regno Unito. Poi c’è stata Angela Merkel che dal 2005 ha guidato la Germania per sedici anni consecutivi. Due casi rimasti a lungo isolati. Fino ad oggi, quando la rivoluzione «rosa» è ormai una realtà che si sta consolidando in tutta Europa. La politica, tradizionalmente dominata dagli uomini, ha lasciato il passo alle donne che si stanno imponendo ovunque. Alla guida di partiti, come prime ministre o a capo delle istituzioni comunitarie. Giorgia Meloni, presidente del Consiglio in pectore, fa sì che anche il nostro paese segua questa scia "rosa". Con il paradosso tutto italiano del Pd, che fa della parità di genere una bandiera e poi non ha mai avuto una donna segretario. A differenza di diversi partiti socialdemocratici europei che non si fanno problemi a togliere il timone agli uomini. E, a dimostrazione che l’emancipazione femminile non sia una prerogativa della sinistra, sono numerosi i casi di leader conservatrici donna.

Il più recente è il caso britannico. Liz Truss, leader dei Tories, è approdata a Downing Street dopo la cacciata di Boris Johnson. È stata anche tra i primi ad esprimere le «congratulazioni a Giorgia Meloni per il successo del suo partito alle elezioni italiane», confermando la «forte alleanza» tra i due Paesi, «dal sostegno all’Ucraina alle sfide economiche globali» che abbiamo di fronte. Truss, a differenza dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea, è intervenuta in modo massiccio contro il caro bollette, stanziando 150 miliardi di sterline in due anni. Soldi che si aggiungono al maxi piano da 40 miliardi per ridurre la pressione fiscale.

Sempre nel campo conservatore, c’è sicuramente la tedesca Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue. Dopo essere stata ministra in vari governi Merkel è riuscita a scalare l’esecutivo europeo. Ha provocato molte polemiche la sua invasione di campo a ridosso del voto italiano, quando ha detto che la Commissione ha «tutti gli strumenti per intervenire» nel caso in cui l’Italia vada «in una direzione difficile». Poi ha cercato di rettificare, sostenendo di essere stata fraintesa. Ma ormai il danno era fatto. Non è di sinistra nemmeno la presidente dell’Europarlamento, la maltese Roberta Metsola. E non va dimenticata neppure Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea. Un ruolo per definizione super partes, anche se dal 2007 al 2011 è stata ministra dell’Economia in Francia con Nicola Sarkozy presidente della Repubblica.

Sul versante opposto, quello socialdemocratico, ci sono i casi del Nord Europa. Sanna Marin guida la Finlandia dal dicembre 2019. Travolta dalle polemiche estive per i party sfrenati con gli amici ha saputo resistere alla tempesta. Si è dimostrata molto decisa nella richiesta di far entrare il suo paese nella Nato assieme alla Svezia in funzione anti-russa. In Danimarca, invece, c’è Mette Frederiksen, la prima ministra spesso criticata (in Italia) per come ha affrontato la pandemia. Il suo Paese è stato uno dei primi a rimuovere le restrizioni anti-Covid. Guardando agli Stati baltici, il governo dell’Estonia è nelle mani di Kaja Kallas, a capo di una coalizione di centrosinistra. Fuori dai confini dell’Unione, va citato il governo serbo di Ana Brnabic, prima donna lesbica dichiarata a ricevere un incarico di questo tipo nel suo paese. Fa parte del Partito progressista, a dimostrazione che ci sono forze politiche di sinistra dove le donne possono davvero raggiungere i vertici.

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