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Crisi di governo, il Vaffa-day di Mario Draghi: parte il pressing ma (per ora) dice no

Carlantonio Solimene
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«Nessun ripensamento» e «totale inamovibilità». Non lasciano speranze (per ora) i piccolissimi frammenti fatti trapelare dall'entourage di Mario Draghi all'indomani delle dimissioni consegnate al Quirinale e respinte da Mattarella. Una giornata che il premier ha trascorso lontano dai radar, senza recarsi a Palazzo Chigi. Preferendo, dopo aver visitato la camera ardente di Eugenio Scalfari, tornare a Città della Pieve per preparare in isolamento la missione di Algeri per accaparrarsi altre forniture di gas, forse l'ultima della sua esperienza da presidente del Consiglio. Missione dalla quale Draghi potrebbe rientrare in anticipo, lunedì sera invece di martedì. Quasi a volersi togliere il più in fretta possibile un dente che si sopporta con sempre più fatica.

Se però una piccola ipotesi di permanenza alla guida del governo resta in piedi è perché da ieri si sta verificando quello che era inevitabile che accedesse. L'enorme pressione internazionale affinché l'ex governatore della Bce non abbandoni il Paese in questa congiuntura complicatissima. Un guaio, secondo le cancellerie, non solo per l'Italia, ma anche per l'Europa dei leader indeboliti (leggasi Macron e Scholz) e per l'intero fronte occidentale impegnato a contrastare le politiche espansioniste della Russia. Non è passata inosservata l'ironia di Dmitri Medvedev sulla crisi di governo italiano. Quel «chi sarà il prossimo?» dopo Johnson e Draghi che segnala come al Cremlino si siano stappate bottiglie di vodka per l'harakiri romano.

E ieri, ad aprire le danze del «ripensaci», è stato un editoriale del New York Times. «Se Mattarella o i partiti politici che vorrebbero che il governo continuasse non riescono a convincere Draghi a restare, significherebbe instabilità non solo per l'Italia, ma per tutta l'Europa, e in un momento precario» scrive l'autorevole quotidiano statunitense, legando le preoccupazioni di Whashington alla necessità di mantenere «l'unità di fronte all'aggressione in Ucraina da parte del presidente russo Vladimir Putin». Sottintendendo il rischio di avanzamento di «forze vicine alla Russia» in caso di nuove elezioni. Poche ore dopo il Consigliere americano per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, ha descritto il «grande rispetto» che il presidente Joe Biden nutre per Draghi. La prima - e pesantissima - moral suasion internazionale a cui sarebbero seguite, a breve termine, quelle di Ursula von der Leyen («lavora benissimo con Draghi» ha detto il portavoce) e del vicepresidente della Commissione Frans Timmermans: «Il premier italiano è un partner autorevole nel contesto europeo e internazionale. Il suo contributo in questo difficile momento storico è importante per l'Italia e per l'Ue».

Anche la Chiesa non ha fatto mancare il suo appello: «Ci auguriamo che vi sia uno scatto di responsabilità in nome dell'interesse generale del Paese che deve prevalere sulle pur legittime posizioni di parte per identificare quello che è necessario e possibile per il bene di tutti» argomenta il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Persino i sindacati, protagonisti di un rapporto contrastato col premier, si uniscono al coro: «Non è il momento di bloccare il Paese e di indebolire le riforme» recita una nota della segreteria della Cgil. E scende in campo pure l'ordine nazionale dei medici per il quale «C'è più che mai bisogno di un periodo di grande stabilità e di coesione nazionale, visti i rilevanti problemi in atto anche per quanto riguarda la pandemia».

Pandemia, Pnrr, debito pubblico, crisi sociale, siccità, mancate forniture energetiche, allineamento dell'Italia al fronte pro-Ucraina. Sono tanti e pesantissimi i dossier sul tavolo che teoricamente dovrebbero tenere il premier imbullonato a Palazzo Chigi. Persino con una maggioranza diversa dall'attuale - aspetto che Draghi aveva sempre escluso- visto che i Cinquestelle, in pieno delirio autoreferenziale, difficilmente torneranno a rappresentare un affidabile partner di maggioranza. Supermario resiste strenuamente, ne fa anche una questione di reputazione: non può permettersi - e non vuole - di rimanere ancora invischiato nelle pastoie della politica. Ma la reputazione rischia di uscire ammaccata anche dall'ipotesi contraria: lasciare il Paese al suo destino in un momento mai così complicato. Argomenti che, per ora, non hanno scalfito la ferma opposizione al bis. Ma che, in cinque giorni, potrebbero assumere un peso specifico sempre più rilevante. 

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