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Guerra in Ucraina, i partiti non possono litigare sulla politica estera

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Riccardo Mazzoni
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Chi ha vissuto nel lungo periodo della Guerra Fredda è cresciuto all’interno di uno schema molto chiaro: da una parte i partiti democratici grazie ai quali l’Italia è rimasta ancorata ai valori dell’Occidente, dall’altra il Pci e i suoi satelliti che, eterodiretti da Mosca, hanno condizionato per decenni la vita politica italiana con il Paese diviso da un muro ideologico che ha trasformato la nostra in una democrazia bloccata, ossia senza possibilità di alternanza. Da qui la conventio ad excludendum e un perenne conflitto politico a bassa intensità, fortunatamente mai sfociato in una vera e propria guerra civile grazie alla lungimiranza e dalla qualità di leader illuminati come De Gasperi e di un impetuoso progresso economico che mise la sordina alle tensioni sociali.

Un sistema stabile caratterizzato dall’instabilità dei governi – sembra un ossimoro ma non lo è – che, nonostante la presenza ingombrante del più grande partito comunista d’Occidente, non smarrì mai la rotta in politica estera: una coerente azione per prevenire il ritorno all’epoca dei nazionalismi in Europa e un atlantismo convinto, con una grande attenzione però al Mediterraneo e ai rapporti col mondo arabo. Ai tempi della Guerra Fredda, la politica estera filoatlantica è stata il passaporto politico per governare, tanto che il Pci, prima del compromesso storico, fu costretto a recidere, sia pure non del tutto, i suoi storici legami con Mosca, una svolta certificata dall’intervista a Pansa con cui Berlinguer annunciò di sentirsi più al sicuro sotto l’ombrello della Nato.

Ora, con l’invasione russa dell’Ucraina che è a tutti gli effetti l’inizio di una nuova Guerra Fredda, la confusione sotto il nostro cielo è altissima, con un rimescolamento di carte che sembra travolgere tutti i vecchi schemi. C’è una regola aurea che dovrebbe valere sempre e per tutti, secondo cui di fronte alle grandi crisi internazionali l’interesse nazionale si difende facendo fronte comune in politica estera, in ossequio al motto per cui «right or wrong, my country». Non a caso Fratelli d’Italia, la maggiore forza di opposizione, sa sostenendo il governo sull’Ucraina, come del resto il centrodestra ha sempre fatto quando, vedi la guerra nell’ex Jugoslavia, al governo c’erano le sinistre. Per paradosso, invece, le tensioni attuali nascono tutte all’interno della maggioranza che sostiene il governo di unità nazionale nato dopo i fallimenti dei due governi Conte. È in corso una sorta di ribaltamento dei ruoli, con una parte della sinistra, il Pd di Letta, convertito a un atlantismo senza se e senza ma, e una parte del centrodestra che, pur senza rinnegare lo storico rapporto con gli Stati Uniti, ondeggia tra la dovuta solidarietà all’Ucraina aggredita e l’inclinazione a ricercare una terza via per non precludere la futura ripresa dei rapporti con la Russia. Dove il comunismo dei Soviet è stato sostituito da un regime autarchico le cui suggestioni hanno evidentemente contaminato settori non marginali del mondo occidentale.

Le sanzioni e le interruzioni alle catene di approvvigionamento causate dalla guerra hanno già provocato l’aumento dei prezzi delle materie prime, e potrebbero causare una crisi alimentare globale con ricadute che si stanno già facendo sentire in Europa, con l’Italia più esposta di tutti in Europa per la dipendenza energetica da Mosca e per la collocazione geografica sul fronte dei flussi migratori. Da questo nasce la tentazione di un’equidistanza tra Zelensky e Putin, in nome degli approvvigionamenti del gas russo, del numero e della qualità delle armi da inviare a Kiev, e infine sulla necessità di imporre una pace, costi quel che costi, al popolo ucraino.

Le ragioni e i torti li deciderà la storia, ma dovrebbe essere chiaro a tutti che l’unica cosa che l’Italia non può permettersi è l’isolamento dall’alleanza occidentale. Tra un anno si voterà per rinnovare il Parlamento, e si fronteggeranno due coalizioni specularmente divise al loro interno sulla politica estera. Il peggior viatico possibile per governare il Paese in mezzo alla peggior crisi internazionale del nuovo secolo. 
 

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