con il rosatellum

Il rebus seggi inguaia Conte. Monta la rivolta dei 5Stelle: "Letta lo sta fregando, al Pd più poltrone"

Carlantonio Solimene

Da un lato il sogno. Dall'altro la realtà. Il sogno sarebbe seppellire una volta per tutte il Rosatellum, affidarsi al proporzionale puro, mettere il nome di Giuseppe Conte nel simbolo, coltivando un illusorio ritorno a Palazzo Chigi, e fare una bella campagna elettorale finalizzata a rubare più voti possibile al Pd, magari puntando a quegli elettori «spiazzati» dalla svolta atlantista di Enrico Letta.

 

  

La realtà è assai meno utopistica. Cambiare la legge elettorale in meno di un anno è, solitamente, assai complicato. Farlo dovendo necessariamente contare sui voti del centrodestra - che col Rosatellum vincerebbe a mani basse e teoricamente non dovrebbe avere interesse a suicidarsi - lo rende praticamente impossibile. E così Conte, pur ammantando la sua voglia di proporzionale con propositi nobili («con il taglio dei parlamentari è il sistema che garantisce maggiore rappresentanza»), è costretto a misurarsi con l'odiata legge attuale e con l'obbligo di coalizzarsi con il Pd.

 

Ma il Rosatellum prevede, effettivamente, un meccanismo infame. Dopo essersi scelto il compagno di viaggio, con lo stesso compagno di viaggio occorre mettersi d'accordo sui 221 collegi uninominali. Ed è qui che arriva l'inghippo. «Conte si sta facendo fregare da Letta» è lo sfogo di un parlamentare grillino. Uno di quelli cui pur essendo considerato persona valida, seria e capace - è stato recapitato il seguente messaggio: «Nel tuo collegio il candidato all'uninominale sarà del Pd. Tu puoi provarci nella quota proporzionale». Il ché, con il taglio di un terzo dei seggi voluto proprio dai grillini, diventa un terno al lotto.

La questione è complessa. Innanzitutto: come si calcolano le candidature spettanti a una forza o all'altra? Il Partito democratico vorrebbe basarsi sui sondaggi attuali. Il ché, grosso modo, significherebbe tre quinti dei posti al Nazareno, due quinti ai grillini (anche se poi c'è da considerare pure la quota spettante alla sinistra di Speranza e a qualche cespuglio centrista). I Cinquestelle, naturalmente, la vedono in maniera diversa. Per loro si dovrebbe ripartire dalla fotografia del Parlamento uscente. Nel quale, in virtù del trionfo del 2018, i grillini sono quasi il doppio dei Dem: 227 contro 136. Non è un caso che Conte, nelle ultime settimane, condisca gli attacchi a Draghi con un refrain: «Io rappresento undici milioni di elettori, il premier deve ascoltarci». Come se il mondo fosse effettivamente ancora quello del 2018 e il consenso grillino non avesse subito, negli anni successivi, un inarrestabile smottamento.

 

Possibile che ci si incontri a metà strada e si faccia fifty-fifty con le candidature all'uninominale. Ma i collegi non sono tutti uguali. Essere candidato in Veneto è una cosa, esserlo in Toscana un'altra. Nel primo caso, la sconfitta è quasi certa. Nel secondo il seggio è assicurato. Il punto è che i collegi considerati «blindati» sono quasi tutti situati nelle roccaforti rosse. In Toscana o Emilia, per dire, è difficile immaginare che i Dem vogliano fare i portatori d'acqua per l'alleato. Anche se nel 2018 utilizzarono la «rossa» Bologna per garantire un seggio al democristiano Casini. Ma all'epoca i posti a disposizione erano molti di più.

I 5 stelle, semmai, potrebbero accampare qualche diritto in Campania. Anche se questo significherebbe schierare big come Di Maio, Fico o Sibilia. E, quindi, venire meno al tetto dei due mandati che Conte, invece, vorrebbe far valere per liberarsi della vecchia guardia e schierare solo fedelissimi. Senza contare che, in Campania, vecchie volpi come Vincenzo De Luca vorranno dire la propria sulle candidature. E, considerati i personaggi, difficile si accontentino degli scarti grillini. Il punto è che la trattativa per i seggi blindati è quanto di più politico ci sia. E per dei «parvenu» del Palazzo come Conte e la sua rampante classe dirigente è complicato confrontarsi con i responsabili elettorali dei Dem. Gente che su collegi, flussi, liste e quozienti ne sa una più del diavolo. E così è concreto il rischio di vedersi molto più decimati di quanto già non prevedessero il taglio dei parlamentari e il calo dei sondaggi. Se ne comincerà a parlare più diffusamente dopo le prossime amministrative. Sempre che il previsto, ulteriore crollo grillino non scriva anticipatamente la parola fine su un'avventura, quella di Conte da capo politico, mai realmente decollata.