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L'errore dei pacifisti dell'Ucraina: per trattare bisogna essere in due e Putin (per adesso) non ne ha l'intenzione

Fabrizio Cicchitto
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Da nessun punto di vista le cose stanno nei termini invocati da coloro che sostengono che la ripresa delle trattative dipende solo e soltanto dagli ucraini e dall’Occidente, addirittura da una differenziazione dell’Unione europea dagli Usa e dalla Nato.

Una parte di costoro arriva ad affermare che per evitare di prolungare una «inutile strage» è auspicabile interrompere ogni invio di armi in modo da convincere o costringere gli ucraini alla resa. In primo luogo contestiamo queste posizioni sul terreno dei valori: nessuno può fare il pacifista con la vita e con la libertà degli altri. La stragrande maggioranza degli ucraini rifiuta di finire come la Bielorussia guidata dal dittatore Lukashenko, un fantoccio agli ordini di Putin.

Questo rifiuto è accentuato dalle stragi di civili fatte non solo a Bucha, ma anche in altre località. Nessuno, non solo Lavrov e Peskov, ma neanche Freccero e Capuozzo, possono negare l’esistenza di morti con i segni inequivocabili delle pallottole, fa testo la denuncia dei parenti degli assassinati, la testimonianza di tutti i reporter che stanno sul campo e dei satelliti. Ma il centro della questione non è solo questo.

Per fare una trattativa bisogna essere in due e finora Putin e i russi non hanno manifestato la benché minima disponibilità per essa. Ciò deriva da una serie di ragioni assai serie. Il blitz non riuscito era pensato sulla base di alcune valutazioni di fondo che tuttora rimangono ferme.

La prima è la cosiddetta denazificazione dell’Ucraina che, stando a testi assai significativi, riguarda non solo i vertici politici, ma anche il popolo che rifiuta l’assimilazione ai russi. Il numero di civili colpiti dalle stragi deriva da questa scelta. In più, anche in Paesi nei quali non è stata fatta valere la teoria della denazificazione, questa pratica della distruzione sistematica delle città attraverso i bombardamenti e delle stragi di civili è avvenuta ovunque l’esercito russo è arrivato, cioè in Cecenia e in Siria (Grozny, Aleppo e molte altre città).

A rendere ancora più inquietante la situazione sono le argomentazioni avanzate dai teorici e gli anchorman vicini a Putin, il più significativo dei quali è Solovyov che più volte ha detto «l’operazione speciale non è contro l’Ucraina, è contro l’Occidente», considerato una realtà nemica per i suoi valori e ormai in decadenza.

Di conseguenza oggi Putin non tratta perché di qui al 9 maggio (ricorrenza della vittoria dell’esercito russo nella seconda guerra mondiale) egli farà lo sforzo massimo per conquistare la parte più estesa del territorio ucraino a partire dal Donbass, ma con un ampliamento molto significativo e a distruggere il più possibile la parte che dovrebbe rimanere fuori dalla conquista in modo da poter proclamare una vittoria sul campo.

Solo di fronte al fallimento anche di questo disegno derivante da un’altra netta sconfitta sul piano militare, cosa tutt’altro che facile, Putin si rassegnerebbe a concludere una trattativa in un certo senso «alla pari».

In sostanza le cosiddette posizioni pacifiste sono inaccettabili sul terreno dei valori, ma del tutto prive di realismo perché non vogliono prendere atto delle caratteristiche e della qualità ideologica e politica della controparte.

Putin non è un comunista o un erede di quella tradizione, ma è un fanatico nazionalista che odia e disprezza l’Occidente e che da un lato vuole affermare il suo potere personale e dall’altro far prevalere un’operazione predatoria basata su una serie di conquiste territoriali: un tipo del genere o «sbatte» contro una resistenza politica e militare che non riesce a piegare oppure continuerà a insistere in modo ossessivo.

Certamente si tratta di un’analisi pessimista che purtroppo è confermata dalla realtà, infatti se Putin fosse convinto di portare avanti una linea contrattuale (questa era la convinzione di quasi tutti i paesi europei che infatti contestarono l’allarme dato da Biden e dai servizi americani) questa vicenda non l’avrebbe neanche aperta e, magari dopo un certo spiegamento di forze ai confini, avrebbe fatto una trattativa a bocce ferme puntando a ribadire e a rafforzare solo la sua presenza nel Donbass. Ciò non è avvenuto perché purtroppo egli ha in testa altre analisi e altri progetti, tutti molto pericolosi.
 

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