penuria di gas

Abbiamo le materie prime contro la dipendenza energetica dall’estero. Ma la politica è miope

Andrea Amata

L'ecologismo, come tutti gli ismi, rappresenta un'alterazione della realtà, un'infiammazione ideologica che consuma la percezione realistica di una questione, tipo la transizione ecologica, elevandola a dogma. L'ismo è un suffisso che deforma, tramuta il sostantivo ambiente in un simulacro da idolatrare e preservare dal contributo «contaminante» della razionalità. La penuria di gas autoctono è il risultato masochistico di battaglie ideologiche basate su una fasulla difesa ambientale. Nel 1994 l'Italia estraeva 21 miliardi di metri cubi di gas, mentre oggi il volume si attesta sui 3 miliardi. Tuttavia, il nostro fabbisogno energetico è pari a 70 miliardi di metri cubi che importiamo con un esborso dieci volte più alto rispetto ai costi quantificati per il prelievo di gas naturale dal sottosuolo italiano. Abbiamo la materia prima per ridimensionare la dipendenza dalle fonti straniere e operare nella direzione della sovranità energetica, ma una certa miopia politica ci ha vincolato alle importazioni negli approvvigionamenti. Cosicché, il 40 % del gas naturale consumato in Europa viene fornito dalla Russia, che detiene una risorsa strategica utilizzata come pressione geo-politica per finalità ritorsive, provocando shock energetici i cui riflessi impattano sulle imprese e sulle famiglie.

 

  

 

Una responsabilità per tale quadro asimmetrico è riconducibile ad Angela Merkel che è stata una degli artefici della connessione energetica con la Russia, impegnando imponenti investimenti per realizzare il gasdotto Nord Stream 2 che si estende per 1.200 chilometri. L'utilizzo dell'infrastruttura sottomarina è stato congelato dalla Germania in seguito all'invasione dell'Ucraina da parte dell'autarca moscovita, attestando lo scarso acume di visione politica in chi pensava di stabilire un rapporto fecondo e duraturo con il dispotismo russo. Così come il predecessore della Merkel, l'esponente socialdemocratico Gerhard Schroeder, è stato additato per i suoi incarichi ai vertici dei colossi russi dell'energia come il collante fra gli interessi del Cremlino e quelli di Berlino. Oggi l'Europa pare non aver assimilato fino in fondo gli errori del passato se, anziché ricalibrare una strategia proiettata all'autosufficienza, reitera un atteggiamento poco lungimirante nell'affidarsi esclusivamente al rifornimento di gas liquido dagli Usa, confermando lo status di dipendenza da altre entità. È sicuramente preferibile soggiacere agli interessi di una democrazia piuttosto che a quelli di un regime dispotico, ma nel processo in atto non si può prescindere dall'orizzonte dell'autogestione energetica in Europa. Puntando soltanto sui rigassificatori, per la trasformazione di un prodotto che non è nella nostra disponibilità sistemica, si rischia di differire sine die l'emancipazione energetica.

 

 

Bene la decisione dei Ventisette al Consiglio europeo di delegare l'acquisto del gas al coordinamento della Commissione Ue, evitando disparità di trattamento fra gli Stati membri e scongiurando shock ingestibili per quei paesi che non hanno mai sviluppato una politica energetica. L'obiettivo da raggiungere consiste nel troncare in tempi brevi la relazione energetica con l'Est. L'emergenza va affrontata attraverso l'approvvigionamento statunitense, ma contestualmente non ci si può esimere dal programmare interventi tesi all'indipendenza energetica per rendere strutturale in Europa la dotazione di fonti metanifere. L'Adriatico e il Mediterraneo sono giacimenti immensi di gas e sarebbe un paradosso continuare a possedere un serbatoio energetico e lasciarlo inesplorato.