fondi del pnrr

Dal catasto alle concessioni balneari: il grande bluff del «ce lo chiede l'Ue» è un ricatto di Mario Draghi

Carlo Solimene

Il ricatto c'è. Ma a imporlo non è l'Europa, bensì lo stesso Mario Draghi. Il braccio di ferro in maggioranza sul catasto ha già portato per due volte il governo a un passo dalla crisi. Per lo meno se si vuole credere al diktat riferito ai parlamentari dalla sottosegretaria Maria Cecilia Guerra: «Se la riforma non passa, l'esperienza di questo esecutivo finisce qui». Il mantra che viene fatto trapelare è che, in assenza di una revisione degli estimi, l'Italia mancherebbe uno degli obiettivi del Pnrr e, di conseguenza, perderebbe decine di miliardi di euro. Peccato che non sia così. Perché, come ha fatto notare alcuni giorni fa il capogruppo al Senato della Lega Massimiliano Romeo, semplicemente «la riforma del catasto nel Pnrr non c'è». Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, infatti, è composto da tre tipi di riforme: quelle «orizzontali» (come pubblica amministrazione e giustizia), quelle «abilitanti» e quelle «settoriali» (come semplificazioni e concorrenza) e, infine, quelle «settoriali». La riforma del Fisco, invece, compare nel testo tra le cosiddette «riforme di accompagnamento». Studiate, cioè, per concorrere alla buona realizzazione del Pnrr ma non vincolanti per ottenere i fondi.

 

  

 

Non finisce qui, perché all'interno delle stesse linee guida che nel piano orientano gli obiettivi della delega fiscale, la riforma del catasto non è mai lontanamente citata. Il «ce lo chiede l'Europa», insomma, in questo caso è abbastanza campato per aria. A meno di non voler ripescare le annuali raccomandazioni ai Paesi membri della Commissione europea nelle quali, sì, all'Italia veniva chiesto di rivedere gli estimi. Ma che sono state sospese dall'inizio della pandemia. Non è questo l'unico campo in cui il «ricatto» del Pnrr viene usato senza fondamento. Altra questione spinosa è quello delle concessioni ai balneari. In questo caso la riforma complessiva (e cioè la legge annuale sulla concorrenza) è tra quelle «vincolanti». Ma quando nel Piano il governo italiano ne spiega i dettagli, non cita mai il problema delle spiagge. Si parla di «rimuovere le barriere all'entrata nei mercati» solo riguardo le «concessioni di grande derivazione idroelettrica», quelle di «gas naturale», quelle «autostradali» e quelle di «vendita di energia elettrica». Il paradosso è che, poco meno di un anno fa, i sindacati dei balneari celebravano Mario Draghi per il gran rifiuto opposto alla Commissione Ue che pressava affinché nel Pnrr fosse inserito il completo recepimento della direttiva Bolkestein. Nel frattempo la posizione del premier è cambiata. Certo, sono successe alcune cose: in primis il Consiglio di Stato ha bocciato il prolungamento delle concessioni al 2033 deciso dal Conte I. In secondo luogo, la procedura d'infrazione dell'Europa nei confronti dell'Italia per la mancata messa a bando delle spiagge è andata avanti e presto potrebbe tramutarsi in una multa salata. Ma, va ripetuto, si tratta di qualcosa che con i miliardi del Pnrr non ha nulla a che fare.

 

 

C'è poi la questione del Mes, un altro tema «europeo» che rischia di terremotare la maggioranza e sul quale il governo è intenzionato a mandare in Parlamento un disegno di legge di ratifica del trattato. Draghi avrebbe voluto presentarsi a Versailles con il risultato già in tasca, ma l'iter ha subito ulteriori rallentamenti. L'Italia, in ogni caso, non è l'unico Paese - tra i 19 interessati - ad aver fatto mancare il suo libera. Anche la Germania non ha ancora detto sì, complice una pronuncia della Corte costituzionale tedesca sul tema che sarebbe dovuta arrivare in questi giorni e che ora, invece, è genericamente attesa «per giugno». Segno, in ogni caso, che tutta questa fretta non c'è. Di fatto, il Mes in Parlamento difficilmente troverebbe i numeri, stante l'opposizione netta, oltre che di Fratelli d'Italia, anche di Lega e M5s. Che poi il Carroccio e i grillini sedessero nello stesso governo Conte che ha concordato e firmato le modifiche al Fondo Salva Stati fa parte dell'incoerenza e della scarsa memoria della politica. Se il governo volesse navigare in acque meno agitate verso il 2023 basterebbe accantonare questi nodi. A meno di non voler cercare l'incidente a tutti i costi. A qualcuno, in maggioranza, il sospetto viene fortemente.