lecchinaggio spinto

L’ambasciata russa elogia Il Fatto Quotidiano che svela le «bugie» sul conflitto. Il voltafaccio di Travaglio

Hoara Borselli

L'account ufficiale dell'Ambasciata russa in Italia ha rilanciato, con un tweet, un articolo pubblicato sul «Il Fatto Quotidiano» e firmato dalla scrittrice, giornalista ed ex eurodeputata Barbara Spinelli, che titolava così: «Una guerra nata dalle troppe bugie». Era un'analisi definita «filo-russa» di quel che sta accadendo negli ultimi giorni in Ucraina, dopo l'invasione ordinata da Putin alle forze armate di Mosca. In quell'articolo il dito era puntato contro gli Stati Uniti e l'Unione Europea che non è riuscita a prevenire l'aggressione russa in Ucraina, anche se Vladimir Putin aveva già mostrato tutti i sintomi di un'insofferenza evidentemente sottovalutata. L'Europa - scriveva la Spinelli - riconosca i suoi errori e le bugie come responsabili del massacro che sta avvenendo in Ucraina. L'articolo spiega per filo e per segno tutte le ragioni di Putin, anche se poi le definisce «smisurate» (non si capisce bene se le ragioni o le reazioni: succede talvolta anche ai migliori di traballare con la lingua italiana...).

 

  

 

Colpisce l'argomentare della Spinelli anche per una ragione un po' - come dire? intima. Lei è la figlia di Altiero, uno dei maggiori intellettuali italiani del '900, un uomo dall'incredibile e grandiosa visione del futuro che lo spinse a scrivere, nel 1941, quando era al confino, da antifascista, all'isola di Ventotene, uno straordinario manifesto nel quale gettava le basi politiche e teoriche per l'Unione Europea. Altiero Spinelli è un predecessore di De Gaulle, di De Gasperi, di Adenauer, è una persona che incarna in se stesso l'idea di Europa e di lotta alle dittature. Chissà cosa penserebbe oggi di un attacco sanguinoso all'Europa, guidato dalla Russia. Beh, non è difficile immaginarlo cosa penserebbe. La Russia con quel tweet, possiamo dire - usando un linguaggio travagliano - fa una bella leccata al Fatto Quotidiano, indicandolo come la vera fonte dell'informazione giusta, in alternativa a quelli che Travaglio (e forse anche Putin) chiama i giornaloni. Ma questa leccata, è chiaro, è la conseguenza della leccata precedente, quella del Fatto verso Santa Madre Russia.

 

 

Travaglio in queste cose è imbattibile, è un intenditore finissimo. Non solo perché l'accusa di lecchinaggio, nei confronti dei colleghi, è l'arma preferita della sua polemica. Ma anche - va ammesso - per la ragione opposta: lui stesso, personalmente, spesso si è esercitato in questa professione, con ottimi risultati. Pensate a come la praticava con Di Battista, e una volta persino Di Maio. E Grillo, naturalmente, l'elevato. E Davigo, il maestro, al quale una volta fece una intervista di due pagine dove la domanda più cattiva era: «Cioè, come?» E poi pensate alle pagine scritte a lingua stesa sul sacro Conte, ogni giorno. Quel che stupisce, casomai, è il voltafaccia. Ma Marco non era il giornalista più filoamericano di tutt'Italia? Una volta dicevano addirittura che fosse l'allievo di Montanelli. Mamma mia, povero Montanelli che una sola cosa odiava davvero: leccare.