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Quirinale, dalla sinistra divisa solo veti per evitare la terna da destra

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Francesco Storace
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All’inizio del film la sinistra non avrebbe mai creduto di dover giocare di rimessa. Ma il romanzo Quirinale ha sovvertito i ruoli. Chi immaginava di poter perpetuare il proprio ruolo egemone sul Colle scopre una realtà in cui dover fare i conti con gli altri…

La trama che raccontavano era quella delle divisioni del centrodestra, esasperandole dopo la rinuncia di Silvio Berlusconi alla propria candidatura. Errore clamoroso di valutazione e sottovalutazione della capacità di azione della coalizione, prontissima a restare in campo con nuove proposte.

Che ieri sono state squadernate al massimo livello. Anche per terminarla con la litania “Salvini parla a nome suo o della coalizione?”. L’evidenza plastica dell’unità reale si è materializzata davanti agli occhi dei giornalisti, con tre nomi di assoluto livello e con una particolarità: nessuna delle personalità proposte dal centrodestra ha una tessera di partito. A rivelare chi fossero, Matteo Salvini, Giorgia Meloni ed Antonio Tajani. Insieme, non contro.

C’è un magistrato di assoluto valore come Carlo Nordio. C’è l’ex presidente del Senato, anch’egli col suo prestigioso curriculum, Marcello Pera. E una donna di grande livello come Letizia Moratti, già sindaco di Milano, ex ministro dell’istruzione ed ex presidente della Rai.

Si può avere qualcosa da dire contro personalità che hanno ben figurato nella loro vita ovunque abbiano operato? Come fare a dubitare della capacità di ciascuno a operare con grande equilibrio istituzionale al vertice della Repubblica?

Eppure, a sinistra ci riescono. Per carità, senza gli anatemi dei giorni scorsi, ma il coltello lo agitano lo stesso.

In risposta al centrodestra, si sono radunati Enrico Letta, Giuseppe Conte e Roberto Speranza. Nessun nome da loro, ma no alle proposte ricevute. Ci mancava che dicessero, “per carità brava gente”, ma loro non li possono votare.

E nei corridoi parte del Pd vociava persino contro Elisabetta Casellati, definita “la carta coperta del centrodestra”. E questo è un atto davvero antipatico, perché si tratta della seconda carica dello Stato. Salvini, Meloni e Tajani non l’hanno inserita in un rosa ideale proprio perché le cariche istituzionali vanno rispettate da tutti. La sinistra, invece e al solito, rispetta solo quelle che vengono da casa sua. 

Eppure la presidente del Senato al suo alto incarico è arrivata anche con il voto dei Cinque stelle, con oltre il 75% dei consensi di Palazzo Madama. E proprio perché parliamo di una delle più importanti cariche istituzionali è un bene che non sia stata inserita in una rosa che avrebbe potuto apparire di parte. Certo, potrebbe rappresentare una candidatura per sbloccare l’impasse, ma è una carta non calata sul tavolo, perché si spera di giocarle tutte al tavolo della politica.

Altrimenti, dove bisognerebbe cercare il nuovo Capo dello Stato, “su Marte?”, come ironizza il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Francesco Lollobrigida e come vuole anche la logica dell’elezione del presidente. Si tratta di scegliere una figura adatta a rappresentare l’Italia e se la sinistra non riesce a proporne una di rilievo non può certo rimproverare per questo il centrodestra.

Lo scatto in avanti del centrodestra serviva per uscire da una situazione in cui rischiano di ripetersi all’infinito gli scrutini a vuoto. Fuori dal Palazzo di Montecitorio l’Italia aspetta una soluzione che ancora non è stata trovata: e discutere finalmente attorno a nomi impeccabili è stata una buona iniziativa. Il nuovo presidente della Repubblica non lo trova certo chi pensa solo a porre veti e a ostacolare – inutilmente – l’avversario.

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