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Quirinale, tutti restano con le carte coperte. Metteranno le tende a Montecitorio

Francesco Storace
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Dovranno mettere le tende i nostri eroi in Parlamento. Perché non c’è ancora traccia di intesa, si guardano da lontano, sbuffano ad ogni nome del “nemico”, manca il guizzo capace di mettere d’accordo molto più di 505 grandi elettori.

Da oggi si vota, ma in bianco. Perché pochi si sbizzarriranno a scrivere improbabili nomi e cognomi, al punto che ci si spinge – per far credere di guardare nella palla di vetro con più precisione degli altri – a dirsi pronti alla quarta votazione. È quella con il quorum che si abbassa alla maggioranza assoluta – appunto i 505 – ma con nessuna certezza di farcela per davvero.

In realtà, Silvio Berlusconi ha mischiato le carte alla sinistra con il suo no alla candidatura. Ha messo al tappeto – anche se c’è chi dice solo temporaneamente – pure Mario Draghi.

A sinistra sognavano di fare casino, ma la rinuncia di Berlusconi li ha incasinati. E allora vorrebbero Pierferdinando Casini (che in realtà nel Pd per ora lo vogliono Dario Franceschini e Lorenzo Guerini. E da fuori pure Matteo Renzi). Sembra una filastrocca, ma è un pezzo del racconto sul voto per il Colle.

In realtà nessuno sa che cosa bolle in pentola. Si blatera a vuoto tenendo le carte coperte, confida un marpione del Pd dall’assemblea dei grandi elettori convocata da Letta. E domani quasi tutti voteranno scheda bianca.

Le previsioni cambiano di ora in ora. Per ora pare un derby a due… Sullo sfondo si staglia sempre l’opzione Draghi e al momento sarebbero in calo le quotazioni del principale competitore ddi questi ultimi giorni, Casini (M5s e Lega gli sarebbero contrari, per Salvini non è una proposta di centrodestra), anche se Forza Italia non chiuderebbe alla prospettiva legata al nome dell’ex leader democristiano, poi rieletto proprio col Pd in Parlamento. 

I nomi di Elisabetta Casellati, presidente del Senato, e quello di Marcello Pera, anche lui ex numero uno a Palazzo Madama sono invece considerati “non istituzionali” chissà perché dallo schieramento giallorosa.

Chi decide chi sarà il prossimo presidente della Repubblica? Le voci di ieri narravano di un incontro odierno tra Salvini e Letta, che il leader leghista ha piombato: “Sì, ci incontreremo per il voto alla Camera…”. Poi il segretario del Pd ha prima smentito e poi confermato un colloquio, se la vedranno loro.

In questa situazione sono difficili anche i conciliaboli a due, perché poi ciascuno degli interlocutori deve fare almeno un’altra decina di telefonate, tra sodali di partito e alleati.

E così non se ne esce. All’assemblea Pd, Letta del resto ”l’ha presa larga”, ha ammesso un suo deputato, pattinando sui nomi di Andrea Riccardi, trasformato in un candidato del giorno prima e poi sui soliti: Mario Draghi e Sergio Mattarella.

Dunque, la situazione è davvero ingarbugliata e niente fa escludere che possa persino tornare a galla proprio il nome del premier. Ma bisognerebbe avere il tempo, scrutinio dopo scrutinio, di decidere prima un nuovo governo che però proprio a Draghi dà noia come “procedura”. Poveri partiti…

Per dare un’idea di quel che succede a sinistra, basti pensare che Matteo Renzi è ignorato dai vertici tra Pd, Cinque stelle e Leu. “Spiega” un senatore che un tempo lo adorava: “Per forza, se continua a dire che si può votare anche uno di destra…”. Eh già, questo pare il problema. Veti come per Silvio Berlusconi, con qualunque candidato del centrodestra. Il mantra di Letta è questo, ormai.

Il che è abbastanza irrispettoso, ribatte Salvini. E suona strano pure che Letta ai suoi grandi elettori mandi una sollecitazione un po’ curiosa: “Mi raccomando, stiamo uniti, non facciamoci riconoscere, non siamo alla scuola materna”. Da applausi.

In realtà nel Pd – e tra i Cinque stelle - non hanno nessun nome di provenienza spendibile e giocano di rimessa rispetto al centrodestra. Che se è vero che non vuole Draghi non deve sbagliare mosse e dimostrarsi autenticamente compatto. A meno di non puntare alle elezioni, per ora Salvini mantiene la posizione: «Togliere Draghi dal governo sarebbe pericoloso».

Insomma, si resta sulla linea concordata con Berlusconi al vertice, Draghi resti a Palazzo Chigi. I due leader ne hanno parlato telefonicamente: Salvini ha chiamato il presidente azzurro anche per sincerarsi delle sue condizioni di salute (“sta bene”, ha detto) e per esaminare i primi nomi “di alto profilo”. Forse si andrà alla rosa da sottoporre al centrosinistra e lì si vedrà se si persisterà ancora con i veti. “Non imporremo, ma proporremo”, afferma Salvini. E chissà se Letta avrà finalmente orecchie per ascoltare.

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