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Mario Draghi al Quirinale e quei paragoni dannosi con Ciampi ed Einaudi

Angelo De Mattia
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Si inizia a sostenere apertamente, mentre appare più difficile (almeno per ora) trovare una larga convergenza sul nome da candidare per succedere al Presidente Sergio Mattarella, un parallelismo tra l'ascesa, nel 1999, di Carlo Azeglio Ciampi alla più alta Magistratura dello Stato e l'ascesa possibile, o comunque auspicata da alcuni, di Mario Draghi. Senza che ciò suoni in qualche modo sugli indubbi meriti di quest'ultimo, il paragone, tuttavia, non regge affatto. Ciampi aveva percorso tutti i gradi all'interno della Banca d'Italia dove era stato assunto come «volontario amministrativo» subito dopo il secondo conflitto mondiale (nel 1946) e aveva raggiunto nel 1979 la carica di Governatore che esercitò fino al 1993, quando l'allora Capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro lo chiamò per nominarlo Presidente del Consiglio. Già basterebbe questo «cursus» per evidenziare le nette differenze. Ma vi è di più. Ciampi aveva combattuto nella Resistenza ed era vicino Partito d'Azione. Ricordo che, in occasione di un congresso del Pci, alcuni componenti della delegazione sindacale della Cgil impegnata in una trattativa, chiesero e concordarono con la delegazione della Banca, capeggiata proprio da Ciampi all'epoca Direttore generale, di rinviare di un giorno la successiva tornata del negoziato per poter partecipare al congresso. In quell'occasione, i componenti che erano stati assunti nello stesso periodo di Ciampi e a lui si rivolgevano, ricambiati, con il «tu», gli dissero: «Voi della Banca conoscete le nostre adesioni politiche e sociali, ma noi non conosciamo in modo altrettanto completo le vostre». In risposta, Ciampi ricordò il suo passato, anche con riferimento al Partito d'azione, e mostrò attenzione, anche se escludendo adesioni e a maggior ragione formali iscrizioni, a nuovi fermenti, a cominciare, allora, dalla sinistra democristiana.

 

 

L'esperienza precedente l'assunzione in Banca d'Italia, i 47 anni vissuti al suo interno, le successive cariche ricoperte, prima di Presidente del Consiglio, poi, di Ministro del Tesoro, un «cursus honorum» tutto nel settore pubblico perché mai avrebbe accettato un incarico privato, rendono imparagonabile il caso Ciampi. A più forte ragione se lo si vuole utilizzare a sostegno della candidatura di Draghi per il Colle che deve far leva, invece, su altre motivazioni. Come al solito, sono i «plauditores» superficiali il principale nocumento per Draghi.

 

 

È bene anticipare anche l'altro paragone che molto probabilmente si tenterà dai plaudenti «a priori», quello con il Governatore Luigi Einaudi. Anche in questo caso, il suo lungo, autorevole corso scientifico e accademico, il lascito dottrinale innanzitutto in materia di Scienza delle finanze, l'esperienza di Governo nel dopoguerra con la stabilizzazione della lira, l'autonoma decisione, in particolare della Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi di candidarlo al Quirinale, fanno di Einaudi una personalità non paragonabile. Entrambi, Einaudi e Ciampi, non si sarebbero mai «autocandidati», neppure con giri di parole predisposti alla smentita o alle correzioni. I raffronti sbagliati rischiano di tramutarsi in un «boomerang» per colui che si vuole sostenere perché essi finiscono involontariamente con il mettere in evidenza non i punti di vicinanza, bensì le nette distanze.

 

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