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Mimmo Lucano derubava i migranti, le motivazioni della sentenza: "Agiva con logica predatoria"

Franco Bechis
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E' a pagina 314 della colossale motivazione della condanna pubblicata ieri (904 pagine) che il tribunale di Locri mette una pietra tombale su Mimmo Lucano, il sindaco di Riace che sembrava predicare assai bene tanto da piacere pure a Papa Francesco (oltre che a tutta la sinistra e alla intellighentia italiana), ma razzolava in tutt'altro modo. Scrivono i giudici riassumendo una intercettazione ambientale del 2017: “Lucano rappresentava inoltre la sua amarezza per la condizione in cui si trovavano e ad un certo punto, abbassando la voce, gli confidava che era ormai stanco di combattere, che aveva deciso di chiudere tutti i progetti e di girare per il mondo, e che una volta finita la sua attività di Sindaco, ove non fosse stato più possibile essere rieletto con un quarto mandato, avrebbe comunque svolto un lavoro prestigioso per la comunità internazionale, che gli era stato proposto da Chiara Sasso.

Ad ogni modo gli sarebbe sempre rimasto il guadagno che aveva conseguito con le attività predatorie dell'accoglienza- note a chi lo ascoltava- che quantificava egli stesso in circa 800.000 curo, nei quali inglobava l'acquisto di case ed il frantoio: “Secondo me rimangono tra i 700 e 800 mila euro”. Si vantava, tra l'altro, di essere stato scaltro nell'attuare quella sotterranea accumulazione di beni, che aveva avuto l'accortezza di non intestarsi, oltre al fatto che viveva in una casa modesta e che sul suo conto corrente c'erano non più di 800 euro, di tal ché non avrebbe destato alcun sospetto, salvo il rischio di intercettazioni, che però escludeva. Si sentiva, insomma, di aver attuato una simulazione perfetta, con la quale si era sforzato di apparire all'esterno come un uomo retto ed onesto, laddove, invece, aveva fattivamente lucrato soldi pubblici dallo Stato, strumentalizzando il sistema di accoglienza, tanto da realizzare sostanziosi profitti che - per come si coglie dalle sue stesse parole, pronunciate a voce bassa, non erano per nulla destinati ai migranti, ma solo a garantirgli un futuro tranquillo, dopo 20 anni di sacrifici”.

Di passaggio così ce ne sono a bizzeffe nelle lunghissime motivazioni che spiegano la clamorosa condanna a 13 anni e 2 mesi dell'uomo che ha propagandato il celebre “modello Riace”. La tipologia di quell'esempio che pure i giudici lodano nella sua parte iniziale, è però raccontata così nella sentenza: “logica predatoria delle risorse pubbliche provenienti dai progetti SPRAR, CAS e MSNA, sempre più asserviti ai loro appetiti di natura personale, spesso declinati in chiave politica, e soddisfatti strumentalizzando a loro vantaggio il sistema dell'accoglienza dci migranti che, da obiettivo primario ed apprezzabile di quelle sovvenzioni, è diventato un comodo paravento dietro cui occultare le vistose sottrazioni di denaro pubblico che essi attuavano, per fini esclusivamente individuali”.

Parole pesanti come un macigno, ancora più della durissima condanna, e infatti vengono contestate dalla difesa dell'ex sindaco, che ora ricorrerà in appello. Bisogna dire però che le reali intenzioni di Lucano derivano da intercettazioni telefoniche e ambientali sul cui merito l'ex sindaco non ha mai voluto difendersi, giocando sempre (e ancora adesso) la carta della loro illegittimità formale, respinta dal tribunale di Locri. Senza mai contestare invece l'interpretazione molto grave che i giudici ne danno: avrebbe tolto soldi dello Stato destinati ai migranti per mettersi da parte con intestazioni fittizie e l'aiuto dei prestanome abbondanti risorse per la pensione sua, della compagna e dei più stretti amici.

Secondo i giudici infatti le indagini fanno emergere  “meccanismi illeciti e perversi, fondati sulla cupidigia e sull'avidità, che ad un certo punto hanno cominciato a manifestarsi in modo prepotente in quei luoghi c si sono tradotti in forme di vero e proprio "arrembaggio" ai cospicui finanziamenti che arrivavano in quel paesino, che per anni era stato economicamente depresso, tanto da tradursi in una sottrazione sistematica di risorse statuali e della Comunità Europea, che pure erano destinate a favore di quelle persone più deboli, del cui benessere e della cui integrazione, però, nessuno si interessava più, se non in forma residuale e strumentale, dal momento che un maggior numero di stranieri che fossero giunti su quel territorio ( o che si fosse riusciti a trattenere) avrebbe comportato un aumento degli importi che lo Stato avrebbe corrisposto per il loro sostentamento e per la loro integrazione, cosi alimentando gli appetiti di chi poteva fare incetta di quelle somme senza alcuna forma di pudore”.

Il tribunale di Locri scrive che “nelle numerosissime pagine di intercettazioni e di documenti che saranno esaminati non vi è alcuna traccia dei fantomatici "reati di umanità" che sono stati in più occasione evocati da più parti, in quanto le vorticose sottrazioni che sono state compiute non servivano affatto a migliorare il sistema di accoglienza e la qualità dell'integrazione dei migranti, ma solo a trarre profitto, nelle diverse forme che non avranno nessuna connotazione altruistica, né alcunchè di edificante”.

E ancora: “ Lucano Domenico ed i suoi più stretti collaboratori, utilizzando liberamente le somme che venivano erogate per i progetti Sprar, Msna e Cas, come fossero proprie, le destinavano per l'acquisto di beni che non avevano alcuna connessione con le finalità per le quali quegli importi erano stati erogati, in quanto essi non venivano per nulla investiti per l'accoglienza e per l'integrazione dei migranti (come avrebbe dovuto essere), ma semplicemente impiegati o per la soddisfazione di interessi propri ( tra cui figuravano numerosi e costosi viaggi all'estero o l'acquisto di beni di arredo per le rispettive abitazioni), o anche per valorizzare il territorio di Riace, a cui era soprattutto interessato Lucano Domenico.

Quest'ultimo ne riceveva, infatti, un forte ritorno di immagine, da capitalizzare a livello politico, che veniva attuato sia mediante l'acquisito di beni strumentali per la realizzazione di un frantoio (che, però, veniva intestato all'associazione Città Futura), sia rimodernando in modo lussuoso numerose case (alcune delle quali destinate a persone molto vicine a lui, tra cui la sua compagna Tesfahun Lemlem)”. 

Secondo i magistrati Riace era modello sì, ma di “benefici invertiti, che venivano realizzati per fini esclusivamente privati, sfruttando la falsa retorica della realizzazione di un interesse pubblico, laddove invece quest'ultimo veniva costantemente umiliato dalle condotte predatorie di cui si diceva, che erano alimentate dagli appetiti più svariati e dalle plurime ambizioni private, spesso declinate in chiave politica”.

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