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Centrodestra, avevano solo scherzato: dopo nemmeno un giorno il patto si squaglia

Francesco Storace
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Era 21, giorno dispari nel calendario, quindi in scena le liti. Dopo il calumet della pace a Villa Grande, ieri è stata la giornata delle sparatorie, verbali per fortuna, tramite agenzie di stampa. Un far west. Il centrodestra aveva appena salutato l’“incontro cordiale” a casa Berlusconi, che si è scatenato un frastuono degno dei vecchi tempi.

Nell’ordine, con varie derivazioni vocali, Maria Stella Gelmini contro Berlusconi e viceversa; Renato Brunetta e Mara Carfagna contro Berlusconi e un pochino all’attacco di Antonio Tajani. A seguire Berlusconi irridente con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Poi lite tra gli ultimi due, anche se in questo caso la leader di Fdi a mettere acqua sul fuoco che si diffondeva. La notizia era il silenzio di Maurizio Gasparri sul tema.

Insomma, mai come ieri il centrodestra ha dato l’idea di una spettacolare finzione dopo la botta elettorale. Non un nodo è stato affrontato e risolto, perché anche le promesse sono da marinaio. Questa nave non va. L’unica nota positiva viene da Siena, dove Berlusconi ha trovato un tribunale che lo ha finalmente assolto per il Ruby ter, una commedia che dura da troppi anni.

Ma il resto è da dimenticare. O meglio, da ricordarlo a tutti e tre quando si ripresenteranno a fare giurin giurello per dire “ci vogliamo bene”. Sì, non c’è dubbio, ma la domanda è che si sono visti a fare se le cose stanno così…

E non solo perché non sono capaci di un atteggiamento unitario da decidere sul governo. È la cosa più incredibile perché ci si costringe discutere se si possa chiamare coalizione uno schieramento diviso tra maggioranza e opposizione. Tra due anni il centrodestra si candiderà a governare l’Italia e pensa di farlo in questo modo?

Che è la questione principale. Poi ci sono quisquiglie e pinzillacchere. Berlusconi brutalizza la Gelmini (“chissà che le è preso”, dopo lo sfogo alla riunione del gruppo parlamentare dell’altra sera) e ti viene un dubbio: ma leader e ministro si parlano? Qualcuno dice che tra i due ci sia sempre in mezzo Licia Ronzulli a filtrare le conversazioni autorizzate. Il che farebbe un po’ ridere e un po’ inquietare.

Alla Gelmini dà manforte la Carfagna e aumentano i sospetti: “A Silvio non raccontano la verità”. Che se vogliamo non è manco carino nei riguardi del Gran Capo, che viene fatto passare come uno che ha bisogno di farsi spiegare le cose. E comunque perché non gliele dice lei? Si rafforza la pista Ronzulli.  Infine, arriva la sentenza di Brunetta: “La Gelmini dà voce al malcontento che c’è nel partito”. Azz, c’è malcontento in Fi, inimmaginabile.

Insomma, i ministri parlano più facilmente con Mario Draghi che con Berlusconi. Il che la dice lunga su che cosa diventano i partiti “di governo”. Ultima prodezza di Silvio, in Europa: “Io sono il professore, Salvini e Meloni i miei allievi. E comunque sto lavorando per portare la Lega nel Ppe”.

Come no, infatti la prima cosa che fa Salvini è alzare il telefono e chiamare Marine Le Pen in Francia per dirle che bisogna fare un altro gruppo insieme, magari pescando nei conservatori. Il che non deve essere particolarmente gustoso per Giorgia Meloni, che ne presiede il partito europeo. In una giornata dura, per la leader di Fdi, che si sente dare della rompicoglioni da Salvini (applausi da Arcore) ma saggiamente lascia cadere il complimento. Stavolta rinuncia a chiedere il “girato” del video leghista che qualche parlamentare del Carroccio ha inviato al Foglio dall’assemblea di deputati e senatori in cui Matteo ha proclamato il suo giudizio; e soprattutto non le sfugge il rischio di manovra a tenaglia di Lega e Forza Italia per limitarne le pretese.

Prova ne sia il silenziatore azionato in una batteria di dichiarazioni calmieratrici dei boss di Fdi, da Francesco Lollobrigida a Ignazio La Russa a Giovanni Donzelli. Mentre litigano a scena aperta, nessuno fa sapere se ci sono responsabilità sul voto delle amministrative e di chi. E se intendono proseguire con partiti chiusi in se stessi e autoreferenziali, che tengono lontano il popolo dalle urne.

Se continuano così – e lo diciamo a tutti loro con affetto e stima – si allontaneranno sempre di più dai cittadini. E trovano scarsa audience anche i bacini di Villa Grande e le stesse promesse quirinalizie rivolte a Berlusconi.

La consolazione è che nel 2023 la pandemia probabilmente sarà finita e non dovranno discutere di vaccini o di green pass. Anche perché i confusi sì e no sul Covid e le relative cure non hanno portato bene né a Fdi né a Fi e Lega. Solo al Pd. Mordetevi la lingua, che è meglio. E sappiate tornare al tempo in cui gli elettori erano entusiasti di voi, ma perché vi vedevano insieme e non divisi. A Roma, per dire, neppure un comizio in tre.

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