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La pace con un selfie: la foto che immortala i nuovi promessi sposi Salvini e Meloni

Franco Bechis

Sul ramo del lago di Como. E non potevano che riappacificarsi lì i nostri bei promessi sposi. Certo Alessandro Manzoni non avrebbe mai ambientato il loro incontro in quel di villa d’Este a Cernobbio, luogo simbolo dei meeting dei «poteri forti» che ogni anno affollano il workshop Ambrosetti. Ma è davanti a quel lago che ieri mattina finalmente si sono incontrati dopo tanto tempo Giorgia Meloni e Matteo Salvini. E si sono parlati, gesticolando, discutendo sotto gli occhi attenti di Giancarlo Giorgetti e finalmente chiarendosi non per interposta persona. Hanno pure voluto scattarsi un selfie sorridenti per i propri social concedendosi poi a fotografi e videomaker con qualche battuta scherzosa. Quelli urlavano: «Bacio, bacio!» presi dall’insolito clima disteso fra i due principali leader del centrodestra, e Salvini li ha fermati: «Eh, bacio no! Lei ne ha uno a casa, io ne ho una a casa per il bacio...». E certo, il bacio sarebbe stato un po’ troppo. Ma quel selfie proprio ci voleva dopo settimane in cui Salvini e Meloni si erano evitati e anche punzecchiati a distanza con le loro truppe che nulla facevano per dare l’impressione di un minimo di navigazione tranquilla. Anzi, spesso si guardavano in cagnesco sospettando che ogni scelta politica di un gruppo fosse fatta per fare male all’altro.

 

  

 

Ovvia una certa competizione: da tempo i sondaggi offrono una gara Lega-Fratelli di Italia per il primato su tutte le forze politiche. Testa a testa che, al momento, premia con sicurezza la Meloni, ma insomma per gli elettori del centrodestra non è poi così male vedere al primo e al secondo posto della classifica due dei partiti della loro coalizione, indipendentemente da chi dei due sia al primo e chi al secondo posto. E il selfie ha una sua utilità, visto che manca un mese al primo turno delle amministrative e tutto serviva meno che zizzania fra i due partiti più forti della coalizione. Un po’ di campagna elettorale a braccetto farà bene anche al gruppo, perché è indubbio che la situazione nazionale abbia creato qualche inciampo di troppo. Ma non si può certo pensare che l’assetto di governo attuale sia un modello per l’Italia. Non sono in discussione curriculum e capacità indubbie del presidente del Consiglio, Mario Draghi. Senza esagerare: ha tanta esperienza e ha raggiunto l’eccellenza in campo economico, ma per tutto il resto è un novizio e talvolta si vede. Il governo di tutti in situazioni di particolare emergenza è una necessità dolorosa, ma in alcuni paesi fra cui l’Italia sembra ripetersi con troppa frequenza. Questo esecutivo è nato per domare l’emergenza sanitaria e dare ordine a un piano di vaccinazione che era partito con troppe incertezze e poi incardinare la ricostruzione del Paese grazie a doni e prestiti di Next generation Eu. Entrambe le cose sembrano avviate in modo ordinato e senza particolari intoppi. Ci sono idee diverse, ma insomma non sembrano divisioni epocali quelle che spesso fanno titolo sui giornali anche per carenza di altro sulle modalità di applicazione del green pass o sul proseguimento del piano di vaccinazione.

 

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Però alle porte ci sono temi su cui è innaturale stare insieme nel governo di tutti e a prescindere dalle scelte degli elettori. Giustamente gli schieramenti hanno idee diverse e anche contrapposte sull’organizzazione del fisco, sulla spesa sociale, sulla previdenza, sulla gestione delle politiche migratorie, sull’organizzazione della giustizia o sulla bioetica. Eppure questi sono i temi principali della politica e di conseguenza di un governo. Non è facendo forzatamente stare insieme quelli che hanno - almeno sulla carta - visioni contrapposte alla radice che si otterranno buone riforme. Non lo sono mai quelle di compromesso e di estenuante mediazione. E quando e se non funzioneranno ognuno sarà libero di dire: «Vedi, avessimo provato la nostra ricetta allora sì che...». Non si può navigare all’infinito sulla stessa barca come si sta facendo ora, affidando ogni cosa a un potere taumaturgico che Draghi non ha e non può avere. E prescindendo da un dovere che le democrazie su grandi temi come quelli citati hanno: misurare nell’unico modo possibile (le urne) il consenso dei cittadini. Tenga duro il centrodestra con quel selfie, non è più il tempo delle divisioni.