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Una giustizia giusta impedirebbe che le aziende in crisi vadano alla mafia e gli intrecci dei tribunali fallimentari

Gianluigi Paragone
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Giustizia. In mezzo al Pnrr e travolto dal solito tema dei vaccini e dei green pass, atterra sul parlamento il mai risolto nodo di una giustizia che abbia un senso. Certo, sarebbe importante avere una «giustizia giusta» ma di questi tempi accontentarsi di una giustizia che abbia un senso basterebbe. Invece il dibattito che ha accompagnato la «riforma» della Cartabia fa intendere il teatrino - qui si che il termine calza a pennello - della politica: com’è possibile infatti che tutti si dicano contenti, soddisfatti e vittoriosi, dal Movimento contian/bonafediano (nelle cui fila i mal di pancia della vigilia passano con la solita pillola andreottiana «meglio tirare a campare che tirare le cuoia») alla Lega e ai renziani che invece di Dj Fofò mostrano lo scalpo, passando da Pd e Leu che volano basso per non farsi troppo male. Se tutti dicono di aver vinto significa che nessuno ha davvero vinto, si sono accontentati delle briciole che Draghi ha concesso loro. Perché gli spazi di trattativa erano pochi, poiché si tratta di una messa a terra di ciò che - in tema di giustizia - l’Europa pretende al fine di concedere i soldi vincolati del Pnrr. Ho sentito esultare perché i processi di mafia sono fatti salvi. E vorrei ben vedere! Ci mancherebbe altro; ma come dicevo prima nulla si deve dare per scontato quando la macchina della giustizia esce dal mondo delle idee per entrare nella realtà.

 

 

Ebbene, proprio nel mondo della realtà la giustizia si fa spesso ingiusta. Com’è possibile che mentre la ristorazione, l’alberghiero, il commercio vanno sott’acqua per le conseguenze delle chiusure, le mafie stanno riciclando quantità impressionante di denaro sporco acquisendo da chi è in difficoltà? Fuori imprenditori veri e dentro prestanome per conto della ‘ndrangheta e della mafia. Il mondo bancario - anche per colpa di un intreccio con le norme europee - sta portando al fallimento imprenditori colpevoli solo di aver chiuso o di essere «al pelo» per colpa della crisi e dei mancati interventi da parte dello Stato. Sento dire che riformano la giustizia sotto impulso di Bruxelles per agevolare le imprese (diciamo i grossi gruppi e le multinazionali...) e gli investimenti; c’è del vero ma non sarà questo intervento a stimolare gli imprenditori italiani, i quali devono fare i conti con la giungla dei tribunali fallimentari. Perché nessuno tocca mai le sezioni fallimentari? Perché non si raccontano mai gli strani intrecci che maturano nel mondo delle aste, le strane connivenze? Chi ha paura di aprire il vaso di Pandora dei tribunali fallimentari, così da fare chiarezza su chi vince i grandi lotti?

 

 

Nel Pnrr si torna ancora una volta a un cannibalismo sociale per cui i soggetti esecutati - per lo più piccoli imprenditori, partite Iva, professionisti - verranno sbattuti fuori di casa prima ancora dell’assegnazione dell’immobile a garanzia in asta. Ma come si può pensare, in un tempo dove l’odore delle macerie post Covid è acre, di non tutelare quei soggetti che non riescono ad onorare il debito con le banche; magari quelle stesse banche player di strane partite come Mps e UniCredit. Sperare in una giustizia giusta è, come dicevo in apertura, esercizio ardito; ma pretendere una giustizia che abbia un senso logico sarebbe il minimo. Nemmeno stavolta però trovo un senso a questa storia.

 

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