rivoluzione

Matteo Salvini sfida i magistrati. Via alla raccolta firme per il referendum dei Radicali

Pierpaolo La Rosa

Insieme per cambiare volto a una giustizia che così com' è, preda di logiche correntizie, non funziona più. Il leader della Lega, Matteo Salvini, scende in campo al fianco del Partito Radicale nella raccolta delle firme, a cominciare da inizio luglio, su sei quesiti referendari che verranno depositati domani in Cassazione, e che sono stati illustrati ieri durante una conferenza stampa nella sede del Partito Radicale. I temi sono quelli relativi alla responsabilità civile dei giudici, alla separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti, alla custodia cautelare, all'abrogazione della legge Severino, all'abolizione della raccolta firme per le liste magistrati, al voto per i membri non togati dei consigli giudiziari. Insomma, una vera e propria rivoluzione.

 

  

 

«Inizia un processo per riallineare la giustizia alla Costituzione», annuncia il segretario del Partito Radicale, Maurizio Turco. «Non sono referendum contro i magistrati. Li vogliamo portare avanti con la parte sana della giustizia italiana, non ci interessano i capicorrente e i lottizzati», le parole pronunciate da Salvini, secondo cui questo «è un aiuto, uno stimolo al governo ed al Parlamento: se qualcuno ritiene che il referendum sia un problema - tiene a sottolineare - questo qualcuno ha un problema». Decisamente ambizioso, come lo definisce lui stesso, l'obiettivo indicato dall'ex ministro dell'Interno: sei milioni di firme, uno per ogni quesito. «Il primo fine settimana di luglio contiamo di raccogliere centinaia di migliaia di firme ed è un invito aperto a tutte le forze politiche - afferma il senatore leghista -. Mi hanno scritto esponenti del Pd e anche dei Cinque stelle che mi hanno detto: "A titolo personale firmerò"». Salvini non ha, dunque, dubbi e considera i referendum la «più bella, democratica, trasparente e partecipata forma di democrazia diretta», tanto da citare nientemeno che un verso di Giorgio Gaber, «Libertà partecipazione».

 

 

Ma, si sa, la giustizia è da sempre terreno di scontro acceso, feroce tra le forze politiche e non fa eccezione neppure la fin troppo variegata maggioranza che sostiene l'esecutivo guidato da Mario Draghi. Puntuale, ecco arrivare la replica puntuta del Movimento 5 stelle alle dichiarazioni di Salvini. «Il referendum sulla giustizia nelle forme in cui viene proposto è una evidente arma di distrazione. Dai quesiti si comprende solo che si vorrebbe imbrigliare la magistratura, vecchio tema caro alle forze politiche che fanno del garantismo opportunista un cavallo di battaglia per limitarne l'indipendenza», attacca Mario Perantoni, esponente pentastellato nonché presidente della commissione Giustizia a Montecitorio. «Salvini sa che il Parlamento sta affrontando importanti riforme della giustizia? E quella la sede - osserva ancora Perantoni - e questa volta alla politica non serve l'iniziativa referendaria. Non c'è bisogno di alcuno stimolo, ma solo di leale collaborazione di tutti».

Immediata la risposta dei capigruppo leghisti di Senato e Camera. «Il referendum è il trionfo della democrazia. Significa dare la parola ai cittadini. Spiace - accusano Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari - che il M5s disprezzi tutto questo. Alla faccia della Costituzione e di tante belle parole sulla democrazia diretta». In tutto questo si inserisce la capogruppo del Partito democratico a Montecitorio, Deborah Serracchiani, che rivolgendosi a Salvini sottolinea come non ci sia alcuna ragione per rinviare la riforma. Tensioni che non rappresentano certo un buon viatico per il delicato lavoro di mediazione che attende la Guardasigilli, Marta Cartabia, attesa già dopodomani da un confronto con le forze della maggioranza sull'ordinamento giudiziario e sul Consiglio superiore della magistratura.