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Il green pass è già fuorilegge, vacanze sempre più lontane

Francesco Storace
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Ai piedi il governo sembra aver indossato i cingoli dei carri armati. Scatenando anche un bel po’ di casino sulla questione dei pass, una delle perle del decreto Covid. A dimostrazione che le polemiche non vengono solo dalle parti politiche, le bordate a nervi tesi arrivano dalle istituzioni. Già le regioni hanno fatto sentire la loro voce, ma ora si è fatta sentirà anche l’autorità garante della privacy. Che invoca espressamente “un intervento urgente a tutela dei diritti e delle libertà delle persone».

 

 

 

Posto che la soluzione non potrà essere quella di abolire il garante per la privacy, il governo di Mario Draghi dovrà sbrigarsi a risolvere la questione posta dal Garante che infatti non manca di notare che la strada scelta del decreto legge ha dato già operatività ad una norma sbagliata. E indica tutte le lacune del provvedimento sul pass. Si poteva evitare? Certo, se chi consiglia il premier non lo avesse fatto deragliare da corretti binari istituzionali, perché non si decide da soli. Tra l’altro, una nuova strattonata nel nome della privacy potrebbe arrivare a Palazzo Chigi anche sull’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie: pare che anche in quel caso non ci sia stata interlocuzione con l’Autorità. E sul «pass» si è fatto di tutto e di più per evitare qualunque dialogo con chi lavora per legge al tema della protezione dei dati personali. Ci sono stati atti formali puntualmente ignorati dal governo.

Lo scorso 8 aprile, l’autorità garante aveva rappresentato alla commissione affari costituzionali del Senato la necessità di essere coinvolta nel processo legislativo riguardante l’introduzione dei passaporti vaccinali. Ma non ne seguì nulla. Pochi giorni dopo, con le orecchie allertate dalle notizie che arrivavano a mezzo stampa, stavolta il presidente dell’Autorithy, Pasquale Stanzione, ha preso carta e penna e ha scritto al presidente Draghi e al ministro della Salute Roberto Speranza. Ma anche qui con esito negativo: nessun ascolto.

Di qui, a decreto approvato e pubblicato, l’avvertimento formale previsto dalla legge inviato a Palazzo Chigi e a vari ministeri, per risolvere i problemi aperti. La botta del garante per la privacy evidenzia numerosi svarioni commessi dal governo nella redazione delle norme sul pass. Come è noto, il decreto prevede il passaporto vaccinale per l’entrata o l’uscita dai territori delle regioni collocate in zona rossa o arancione. In più, potrebbe essere utilizzato per l’accesso a eventi, fiere, convegni, congressi, per far sì che si possano attestare la guarigione dal Covid, l’avvenuta vaccinazione o l’effettuazione del test del tampone nelle varie forme.

 

 

 

Primo errore, di metodo: non aver consultato l’authority espone Palazzo Chigi alla censura. Non sul pass in sé, bensì sulla sua utilizzazione. Poi, quel che non si doveva proprio fare. Il decreto non specifica le finalità della certificazione. Ad esempio: dovremmo esibirlo anche in pizzeria? Chi lo stabilisce? Oppure per accedere a scuola o nel posto di lavoro? La norma approvata non lo chiarisce effetto, risultando così giuridicamente lacunosa. Ancora, il tema della minimizzazione dei dati, così come si indica la necessità che essi siano adeguati, pertinenti e limitati. Al massimo, dovrebbero essere quelli anagrafici, quelli identificativi della certificazione; e la data di fine validità della stessa.

Invece, che combina Palazzo Chigi? Pretende l’inserimento di ulteriori dati per complicare la vita del cittadino, con in più una entrata a gamba tesa nella sua condizione sanitaria: appunto, sapere la sua condizione (vaccinazione, guarigione, test negativo). Con la domanda che diventa necessaria: perché chi controlla il mio pass – è la questione posta – deve conoscere anche la mia condizione? Non basta averlo, il che da solo rispetta il motivo del suo rilascio? In pratica una specie di cartella clinica ambulante, e senza sapere per che cosa fare oltre che transitare tra una regione e l’altra. Perché non c’è scritto altro nel decreto adottato senza informarsi presso chi si intende della privacy delle persone. Non è finita. Perché l’atto adottato dal governo pecca pure in trasparenza: chi saranno i soggetti che tratteranno le informazioni – chiede l’authority – visto che nel decreto non lo hanno scritto? All’articolo 9 del provvedimento si accenna ad una piattaforma digitale che nessuno sa dove sia allocata.

Di più: ce n’è persino per i diritti di libertà. L’avvertimento formale al governo richiama un problema si assoluto rilievo: l’introduzione della certificazione verde, quale misura volta a contenere e contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, determina «un trattamento sistematico di dati personali, anche relativi alla salute, su larga scala, che presenta un rischio elevato per i diritti e le libertà degli interessati in relazione alle conseguenze che possono derivare alle persone con riferimento alla limitazione delle libertà personali». Che cosa potrà accadere se il governo continuerà a non ascoltare il garante, neppure dopo l’avvertimento formale. Le norme sono chiare: nelle mani dell’autorità ci sono strumenti ulteriori che possono arrivare fino al blocco del pass laddove saranno riscontrate sue anomalie di utilizzo causate da un decreto pasticciato. Conviene correggerlo subito. Rischiare di dover arrivare ad un conflitto istituzionale per questioni legate alla privacy sarebbe davvero pessimo per il governo Draghi. Perché si tratta di una delle materie in cui è sempre maggiore la conoscenza del cittadino e il suo diritto ad essere rispettato.

 

 

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