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Riaperture e coprifuoco: il rebus di Mario Draghi. Trattativa nel Governo

Francesco Storace

Chissà se basterà il «ci penso io». Mario Draghi aveva chiuso sbrigativamente la cabina di regia delle riaperture. Ma ora, alla vigilia dell'approvazione del decreto legge in un consiglio dei ministri ancora da convocare, il premier avrà bisogno di argomenti inoppugnabili. Da una parte per dare agli italiani la prospettiva di una ripartenza del Paese; dall'altra per non pregiudicare gli obiettivi di salute. Saranno giorni impegnativi, quelli che attendono il presidente del Consiglio, che dovrà compulsare ogni dato sanitario: sotto osservazione i numeri dei contagi, le terapie intensive, i decessi. E anche quali zone sono in maggiore sofferenza e quelle in via d'uscita dal picco del Covid. Oggi pomeriggio alle 17 ci sarà innanzitutto una importante riunione del nuovo comitato tecnico scientifico, che non è più quello del tempo di Giuseppe Conte. Le linee guida proposte dalle regioni, i protocolli previste dalle categorie e più in generale un parere sulle nuove misure contribuiranno a formare l'opinione del premier.

 

  

 

Le decisioni da assumere sono molteplici, con in testa la proroga a fine luglio dello stato di emergenza in scadenza a fine aprile. E qui, a seconda della decisione, ci sarà una conseguenza immediata. Se si continua con lo stato di emergenza, lo smart-woking va sostanzialmente a settembre. Non tutti, tra partiti e categorie, sono d'accordo. Ci vorrà una prima mediazione. A cui si collegherà la questione del green pass: è il secondo motivo di confronto interno ai ministri. Per spostarsi da zone gialle ad arancioni bisognerà dimostrarsi a posto come ai tempi della sana e robusta costituzione fisica. Vaccino fatto, guarito dal Covid, o tampone nelle ultime ore. Altrimenti non si passa. Terzo tema, assai spinoso, riguarda le riaperture. I favorevoli ad una estensione dei provvedimenti decisi in cabina di regia sostengono che si possa pranzare e cenare anche in ristoranti chiusi e chiedono di poter liberare anche i bar. Limitare la possibilità di mangiare solo in locali che hanno spazi all'aperto, preclude il diritto dei ristoratori che non ne dispongono, dicono gli aperturisti. E poi non si può discriminare tra categorie che servono pubblico. In prima fila i bar, appunto.

Gli argomenti nelle mani di Palazzo Chigi - stando a quanto si apprende - fanno riferimento a valutazioni scientifiche. Gli studi più consolidati (e si cita The Lancet del 15 aprile 2021) «mostrano che una delle modalità di trasmissione del virus più frequente è il cosiddetto aerosol». Che cosa vuol dire? Affermano gli esperti che «mentre si respira e si parla si emettono - oltre alle goccioline di saliva più grosse che cadono a terra entro 1-2 metri - delle piccole particelle che fluttuano nell'aria, spostandosi di metri, e possono rimanervi per ore se gli spazi chiusi non vengono ventilati. Le probabilità di contagiarsi infatti si moltiplicano se un elevato numero di persone si riunisce in spazi chiusi senza mascherine (con cui ovviamente è impossibile mangiare) per un tempo medio-lungo».

 

 

Ma ci sarebbe altro a complicare la situazione. All'interno di un bar in cui la capienza è ridotta del 50 per cento e tutti i clienti indossano la mascherina, una persona positiva dopo 4 ore rischia di infettare quasi la metà tra clienti e dipendenti. Risposta degli aperturisti: e non è sufficiente un tampone per chi lavora, visto che è difficile davvero trovare chi resta per la bellezza di ore in un bar? Insistono a Palazzo Chigi: «Riducendo il tempo di permanenza e allo stesso tempo migliorando la ventilazione del locale, il rischio di contagio si riduce a una persona ogni 15 presenti». «È sulla base di simili evidenze scientifiche che il governo ha deciso di riaprire ristoranti dal 26 aprile, ma partendo solo dai posti all'aperto, dove i rischi di contagio per via aerea sono minimi visto il continuo ricambio d'aria naturale».

Ci sarà davvero da discutere in Consiglio dei Ministri, dove ora c'è almeno un premier disponibile all'ascolto. Occorrerà saperlo convincere. Ma Draghi fa sapere di ritenere che «la riapertura dei ristoranti a pranzo anche al chiuso sarà possibile quando migliorerà il quadro epidemiologico, in termini di diffusione dei casi, saturazione delle terapie intensive e decessi, e grazie al progresso nella campagna vaccinale». Altro tema di confronto politico è quello legato al coprifuoco a partire dalle 22. Si fa notare, e non a torto, che se si può cenare nei locali all'aperto, occorre spostare di almeno un'ora, se non due, l'inizio dei "domiciliari" per gli italiani, a meno di non pretendere che si mangi alle 7 di sera. Nel centrosud è praticamente impossibile. Anche qui, il governo ha un'opinione che cozza con la volontà di posticipare la misura.

«Il coprifuoco alle ore 22 è stato introdotto in Italia e in altri Paesi europei come misura prudenziale per ridurre la circolazione delle persone, e quindi il rischio di contagio, al di fuori dei principali orari di lavoro». Gli studi finora realizzati sul tema mostrano - sempre secondo Palazzo Chigi - che «il coprifuoco è una misura efficace per ridurre l'indice RO, che misura la trasmissibilità del virus: posticipare l'orario di inizio del coprifuoco non è ritenuto ancora una misura adeguata e proporzionata» e pure in questo caso si rimanda all'abbassamento della curva dei contagi e al successo della campagna vaccinale. Restano da vedere quali saranno gli argomenti che caleranno sul tavolo le regioni e le forze politiche, in questo caso quelle che sostengono l'azione dell'esecutivo. Si preannuncia una settimana di vasto dibattito.