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Pasticcio mascherine, l'Italia compra dalla Cina protezioni non certificate ed esporta quelle buone

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Francesco Storace
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Ma a Mario Draghi qualcuno ha raccontato che altro c’è dietro la vicenda del mare di mascherine arrivate in Italia dalla Cina? La stragrande maggioranza delle quali senza validazione Ce? Qualcuno dovrà spiegare bene quello che è successo. Enormi quantitativi ricevuti ma senza garanzie, ovvero tutto in deroga rispetto alle norme vigenti, mentre le imprese italiane si ammazzavano per rispettare le leggi ed esportare fuori Italia i materiali prodotti in Patria. Non sappiamo (ancora) se dietro al paradosso ci sia solo incapacità e non anche qualche forma di destrezza, ma a questo siamo.

Il premier si deve far recapitare sulla scrivania di Palazzo Chigi i dati Eurostat, e farà bene a verificare personalmente il mercato di dispositivi di protezione individuale che nel 2020 ha minato la salute degli italiani, a partire da medici e infermieri, e contemporaneamente ha costretto le imprese italiane a produrre qui e a esportare fuori del confini nazionali.

Resterà anche lui a bocca aperta perché diventa davvero incomprensibile capire perché sia successo tutto questo, perché il governo che c’era prima sia stato così superficiale con i dispositivi cinesi e se ne sia fregato di quel che si poteva chiedere ai produttori nazionali. Oppure magari si cercavano mascherine presso le ditte produttrici di lampadine, come è accaduto alla regione Lazio.

Con queste premesse diventa difficile sopportare ancora la presenza di Domenico Arcuri nella creazione di un polo nazionale per la produzione e distribuzione dei vaccini anti Covid, come quello che prue meritoriamente vuole portare avanti il ministro per lo sviluppo economico Giancarlo Giorgetti. Anche lui fare bene a consultare le stesse nostre carte, senza bisogno più di scomodare un commissario per l’emergenza Covid che ha palesemente fatto il suo tempo.

Il nostro giornale è riuscito ad avere dati che preoccupano non poco la sezione Safety di Assosistema, la rappresentanza confindustriale delle aziende italiane che producono e distribuiscono sistemi di protezione individuale.

Siamo uno dei pochi paesi europei che consente di derogare rispetto alle procedure ordinarie di valutazione delle conformità delle mascherine alle norme in vigore. E questo – dicono ai vertici associativi – “contribuisce all’immissione nel nostro Paese di maschere protettive destinate alla sanità e a tutta la collettività non conformi” e quindi non in grado di garantire salute e sicurezza.

Tra febbraio e settembre dello scorso anno – i numeri complessivi di Eurostat per tutto il 2020 arriveranno probabilmente a marzo inoltrato – sono state importate in Italia mascherine per un valore complessivo di 2 miliardi e 800 milioni. Il 91% proveniente dalla Cina. E, paradosso incredibile, rispetto al 2019 ne abbiamo esportate per il 131%in più. Ovviamente certificate. Eravamo in grado di produrle, ma ci siamo rivolti alla Cina… 

A conferma di tutto questo, quanto denunciato ieri a Bolzano sulle Ffp2. Una società che si occupa di import-export tra Italia e Cina ha raccontato di aver fatto verificare discreti quantitativi di mascherine provenienti dalla Cina e anche in questo caso le irregolarità sono evidenti. 

In piena pandemia, insomma, gli affari li ha fatti il sistema cinese. Le imprese italiane erano costrette a piazzare i loro prodotti nel mercato interno europeo, ma non in casa nostra: 37 milioni di euro per mascherine in Francia, 18 milioni in Gran Bretagna, 16 milioni in Germania, poco meno di 8 milioni in Spagna e 6 milioni e spicci il ricavato proveniente dalla Svizzera. Ulteriori 55 milioni di euro hanno rappresentato il fatturato italiano per le mascherine vendute in altri paesi dell’Unione europea.

Niente rispetto a quanto hanno guadagnato i cinesi. Prima abbiamo subito il danno e poi ci è toccato pure pagarli. Sarà interessante capire se qualcuno se ne è accorto in quel governo e soprattutto in questo e voglia cambiare registro. L’unico che può farlo si chiama proprio Mario Draghi. 

Con queste premesse rischia di diventare poco credibile l’impegno per la produzione sul suolo nazionale dei vaccini autorizzati. Eppure da essi dipende larga parte delle cure dei cittadini che accetteranno di farsi inoculare il siero. Sulle mascherine – che dovevano servire ad evitare di farsi infettare – si è agito con estrema superficialità. Il minimo che possiamo aspettarci è evitare il bis sulla questione che è diventata la più delicata e urgente, come la campagna vaccinale. Finora abbiamo registrato un autentico fallimento: serve la capacità di uscire concretamente fuori dai pasticci. 

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