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Senza governo i Ristori restano fermi

Adriano Bonanni
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In attesa che arrivi il possibile governo Draghi sono tanti i provvedimenti fermi che attendono il prossimo esecutivo. Come ad esempio il decreto Ristori 5. Doveva arrivare entro fine gennaio, subito dopo il via libera del Parlamento allo scostamento di bilancio da 32 miliardi di euro, ma l’aggravarsi della crisi di governo, che ha costretto Giuseppe Conte alle dimissioni per prevenire il naufragio annunciato sulla giustizia, ne ha impedito il varo.
All’interno c’è il pacchetto di misure per negozianti, partite Iva, cassa integrazione e altri settori. Sulle prime, tecnici e ministri, rimasti in carica per il disbrigo delle affari correnti, erano comunque orientati a includere il provvedimento tra le iniziative possibili nella fase di transizione. Tanto più quando sembrava che la crisi si avviasse verso un Conte ter, nel segno di una sostanziale continuità politica. Ma l’avvitamento ulteriore della crisi, registrato alla fine dell’esplorazione del presidente della Camera, Roberto Fico, ha rimesso in discussione tutto, destinando ormai il decreto Ristori al prossimo governo, quando ci sarà il pieno esercizio delle sue funzioni. 
I tempi si allungano, dunque, (quando il premier incaricato, Mario Draghi, scioglierà positivamente la riserva, bisognerà aspettare la formazione del governo, il giuramento e i voti di fiducia di Camera e Senato), con tutto il carico di incognite politiche legate alle misure del decreto. Perchè di scelte politiche si tratta in gran parte dei casi, in termini sia quantitivi che qualitativi. E non è detto che il prossimo governo sia intenzionato a lasciare inalterata l’impostazione ricevuta in eredità. 
I 32 miliardi da impiegare sono un cifra ingente che, secondo la bozza del governo uscente, solo in parte è indirizzata ai commercianti costretti a chiudere o a ridurre gli orari di apertura. Circa 10 miliardi sarebbero destinati al lavoro, sotto forma di rifinanziamenti per la cassa integrazione, l’indennità di disoccupazione, la decontribuzione per la Partite Iva e il reddito di cittadinanza. 
Basta considerare quest’ultima voce di spesa, entrata a pieno titolo tra i dissidi insanabili fra M5s e Iv durante le consultazioni di Fico, per capire quanto di politico ci sia nelle decisioni da prendere. Altro capitolo nevralgico è il blocco dei licenziamenti che scade il 31 marzo. 
L’idea era di prorogarlo fino a fine aprile, ed eventualmente oltre ma in maniera selettiva. Prima delle dimissioni di Conte, era attesa sul tema una riunione con i sindacati che poi è saltata. Draghi non è intenzionato a interrompere questo confronto, anzi: accettando l’incarico con riserva, si è detto «fiducioso» che anche «dal dialogo con le forze sociali emerga unità». E domani l’ex governatore della Banca d’Italia incontrerà proprio le parti sociali.
Il metodo, insomma, dovrebbe riguardare anche le misure del decreto Ristori. Bisognerà capire, però, se e quanto la base di partenza coinciderà con le scelte del governo uscente, che aveva inserito risorse anche a sostegno della sanità e i vaccini, la scuola e il trasporto pubblico locale in capo a Regioni e Comuni. 

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