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I responsabili non ci sono, il governo è in confusione

Leonardo Ventura
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Il vicolo è quasi cieco. A pochi giorni dalla sfida dei numeri in Parlamento sulla relazione del Guardasigilli, Alfonso Bonafede, il premier Conte è a un bivio: salire al Colle e avviare le operazioni per un Conte-ter (come suggeriscono in molti, tra i quali Bruno Tabacci e Pierferdinando Casini) o innestare la marcia e correre incontro al suo destino in Senato. O la va o la spacca, rischiando di dover salutare Palazzo Chigi, perché in queste ore i consigli che gli arrivano sono di rallentare i giri per non rischiare di andare a «sbattere».

I Responsabili non ci sono e difficilmente arriveranno su un tema così divisivo come la giustizia. Anche i «volenterosi» come Sandra Lonardo e Riccardo Nencini, hanno già fatto sapere che non se ne parla di dare il proprio voto a un documento «ultragiustizialista», figuriamoci i possibili transfughi di Forza Italia. Non a caso le note di smentita si rincorrono, tra quelli che secondo le indiscrezioni sono quotati in uscita dal partito del Cav.

Il momento è delicato, gli equilibri sono ormai saltati e nel M5S si avverte aria strana. I pentastellati difendono Bonafede: «Ogni attacco a lui è un attacco al Movimento, al governo e alla maggioranza che lo sostiene». Un impegno che forse non tutti avranno gradito nel Pd, ricordando il braccio di ferro sulla prescrizione, ad esempio. Ma è la linea del partito di maggioranza relativa all’interno della coalizione. Ribadita anche da Luigi Di Maio: il voto della prossima settimana «è sul governo», dice pubblicamente il ministro degli Esteri. Che ammette quanto sia ingarbugliata la situazione: «Se non ci sono i voti adesso, non ci sono neanche per il Conte-ter» e «se il tema è riparlare con Renzi, Conte ha detto chiaramente che se avesse staccato la fiducia al governo non ci sarebbe stata la possibilità». Poi lo scatto in più: «Tra Conte e Renzi, scegliamo Conte».

Nel Pd, però, la linea rigorista nei confronti del leader di Iv non è granitica. Le elezioni restano sempre il «piano B» preferito dal Nazareno, ma solo nel caso non si riuscisse a chiudere in altro modo la crisi. Perché l’obiettivo principale resta quello di «garantire, sulla base di un programma di legislatura, un governo autorevole con una base parlamentare ampia e stabile», sottolinea il vice capogruppo alla Camera, Michele Bordo. Il presidente dei senatori dem, Andrea Marcucci, invece, va oltre e prova a spegnere gli ardori del momento: «Fermiamo la guerra e ragioniamo intorno a un tavolo». Linea speculare a quella del collega, Graziano Delrio. Tra le righe il suggerimento è chiaro: con Renzi si deve parlare. Non è un tabù nemmeno per Francesco Boccia, e di certo il ministro degli Affari Ue non risulta nella lista dei simpatizzanti dell’ex segretario: «Matteo sa che siamo sempre pronti al dialogo» ma «non è accettabile il confronto con il ricatto». Se cambiasse atteggiamento, quindi...

Che poi è il pensiero del deputato M5S, Emilio Carelli, tra i più ascoltati da vertici del suo movimento e colleghi: «È arrivata l’ora di valutare se sia corretto tenere la porta chiusa a Italia viva», a patto che il leader «dimostri in qualche modo di essere affidabile». Per qualche ora, dunque, il tema del ritorno alle urne sembra essere finito nel cassetto della maggioranza. Non certo in quello delle opposizioni, perché il centrodestra continua a insistere per ridare la parola ai cittadini. «M5S, Pd e Iv sono talmente spaventati dal rischio di perdere la poltrona che non smettono di raccontare bugie e accampare scuse di ogni tipo pur di non andare ad elezioni», colpisce duro Giorgia Meloni. Che ritiene le elezioni «la via maestra» per uscire dalla crisi. Ancora pochi giorni e si capirà se è davvero questo il destino dell’Italia.

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