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Conte, Mattarella e quel precedente del 2010 che fa tremare Renzi

Quando Napolitano diede un mese a Berlusconi per disinnescare la spallata di Fini

Carlantonio Solimene
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Sono ore febbrili per la politica italiana. Dopo le dimissioni della rappresentanza di Italia viva dal governo, sono tutti in attesa di conoscere le prossime mosse di Giuseppe Conte, che potrebbe andare a dimettersi al Quirinale o cercare la sfida con Matteo Renzi in Aula.

Ma nelle ultime ore si sta facendo strada una terza ipotesi: il premier potrebbe ritardare le sue mosse il più possibile per aspettare che in Senato si creino i tempi giusti per favorire il formarsi dell'agognata truppa di responsabili. Più passerà tempo senza una soluzione, più il timore di un ritorno alle urne si farà sensibile. Non a caso il Partito democratico sta tatticamente insistendo sul rischio di elezioni a giugno perché "i responsabili non ci sono". Un modo per spingere gli eventuali interessati a farsi vivi il prima possibile.

Il fattore tempo, come detto, è determinante. E, da questo punto di vista, Conte avrebbe già ricevuto l'ok di Sergio Mattarella al ritardare le eventuali dimissioni, con la scusa dei provvedimenti più importanti da licenziare, a partire dallo scostamento di bilancio per il quinto decreto Ristori. A quel punto il redde rationem in Aula potrebbe non avvenire prima del 20 gennaio, o anche molto più in là.

Un precedente illustre è quello del 2010, quando la mozione di sfiducia lanciata da Gianfranco Fini per defenestrare l'allora premier Silvio Berlusconi venne discussa, con il placet di Giorgio Napolitano, oltre un mese dopo la presentazione. Un mese che il Cavaliere sfruttò per convincere alcuni parlamentari finiani a fare marcia indietro, ottenendo alla fina la fiducia, seppur sul filo di lana.

E' questo l'aspetto che preoccupa maggiormente i renziani, che non vorrebbero che a Conte fosse concesso tutto questo tempo e auspicano sue dimissioni rapide. Il pallino, però, in questo momento è nelle mani di Palazzo Chigi e del Quirinale.

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