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Carlo Calenda in Campidoglio tradirà anche i romani

Diceva: "Vado a Bruxelles perché lì si decide la politica". Ma all'Europarlamento è scomparso

Luigi Bisignani
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Caro direttore, Carlo Calenda che gigioneggia sulla scena politica sognando il Campidoglio  è sicuramente un campione mondiale. Del tradimento. Non solo di tutti quelli che fino ad oggi lo hanno messo al mondo (Montezemolo, Renzi, l’imprenditore napoletano Punzo che gli diede una bella liquidazione purché seguisse altre strade) Zingaretti, ma anche ormai degli oltre 270mila cittadini che lo hanno eletto al Parlamento Europeo. Diceva: “perché è a Bruxelles che si decide ormai la politica” peccato che da quelle parti non lo hanno mai visto. VoteWatch Europe lo colloca, come presenze, al 601mo posto su 701 parlamentari.

Deluse anche le migliaia di maestranze di Embraco, Mercatone Uno, Alitalia e Arcelor Mittal, che avevano creduto nelle sue capacità taumaturgiche da Ministro dello Sviluppo Economico, ma che poi sono finite come sappiamo. Così come quando Renzi lo spedì ambasciatore, non diplomatico, presso l’UE, onore che non fu concesso neppure a Gianni Agnelli e da dove, anche per la rivolta delle feluche e l’imbarazzo dei circoli diplomatici dell’Europa, venne fatto rientrare di corsa, finendo a fare disastri, appunto, al Mise. Con Zingaretti, che lo candidò nelle liste del Pd per le europee, il tradimento si consumò appena 24 ore dopo le elezioni, quando uscì clamorosamente dal Partito Democratico per fondare il suo piccolo movimento “Azione”.

A Montezemolo, che se l’era portato dietro in Ferrari, in Confindustria e in ItaliaFutura, andò pure peggio, Calenda lo attaccò pubblicamente con uno dei suoi primi atti da ministro per la gestione Alitalia. Eppure, nonostante ciò, oggi Calenda, spinto dalle televisioni di Urbano Cairo e da tutto un mondo ‘radical chic’ che lo vezzeggia per quella sua aria da bimbo perbene cresciuto tra biscotti Plasmon e Chateubriand, viene accreditato come un possibile candidato per la corsa a primo cittadino della Capitale. Paradosso vuole che i più preoccupati per questa escalation mediatica sono tre personaggi chiave del mondo ‘dell’ex bimbo Cuore’. Il più folkloristico è certamente Andrea Mazziotti di Celso, un baronetto del Cilento con uno stemma di famiglia che racchiude rose e colli di cigno. Ha ballato una sola legislatura passando poi da un gruppo ad un altro ed oggi è convinto di portare a Calenda i voti degli ambientalisti, di Save the Children, dei costruttori, dei commercianti e, perfino, della Comunità di Sant’Egidio che, come sempre, in queste occasioni non manca mai. Gli altri due strateghi sono Matteo Richetti ed Enrico Costa che non  riesce neppure a formare un gruppo parlamentare alla Camera ed è già pentito di aver lasciato Forza Italia e di non essere atterrato con Guido Crosetto. Il trio sa bene che, con l’aperta reciproca ostilità verso 5 Stelle e Pd, per Calenda sarebbe impossibile vincere il ballottaggio al secondo turno. Né gli basta certo la vaga apertura di Italia Viva di Renzi e di Maria Elena Boschi, fatta forse solo in funzione anti-Pd. Chiuso a sinistra, il maratoneta televisivo guarda piuttosto ora al centrodestra, dove però è consapevole  dell’avversità totale di Giorgia Meloni mentre Matteo Salvini mal lo sopporta.

Non resta che attirare le macerie di Forza Italia, e qui Calenda spera, in cuor suo, che la cortesia innata di Gianni Letta si trasformi in appoggi di qua e di là del Tevere. Anche Mara Carfagna, che ha corteggiato in tutti i modi, gli ha dato un due di picche avendo altro a cui pensare a pochi giorni dalla nascita della sua prima bimba. E quel che resta di Forza Italia oggi è nel caos dove pare sia in atto addirittura un’operazione di sfondamento, da parte del solito asse Ronzulli-Ghedini con l’assordante silenzio di Antonio Tajani, per far fuori le due capogruppo di Camera e Senato, Maria Stella Gelmini e Anna Maria Bernini. Girano infatti tanti piccoli dossier, spediti ad Arcore da qualche collaboratrice infedele che fanno solo sorridere Berlusconi  divertito da sempre dalle congiure di Palazzo. Ma, miniserie di Arcore a parte, Calenda, con l’intuizione di allargare il suo partito verso un’anima liberale e popolare, ha un solo vero grande nemico: il suo carattere. Irrequieto, irascibile, incapace, come si è visto, di fare squadra neppure con il suo specchio, e di rispettare un accordo. Roma ha bisogno almeno di una persona equilibrata. È troppo da chiedere?

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