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Vogliono le larghe intese? Benissimo, ma prima le elezioni

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Se i giallorossi vogliono coinvolgere le opposizioni rispettino la manifestazione del 2 giugno

Alessandro Giuli
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L’offerta di una concordia nazionale ispirata dalla tragica emergenza economica (post) pandemica. Perché no? A patto di essere chiari fin dai presupposti. Se davvero il premier Giuseppe Conte e il Pd di Nicola Zingaretti (i Cinque stelle chissà...) intendono coinvolgere l’opposizione in un disegno unitario, una sorta di accordo temporaneo fondato sulla consultazione preventiva circa le azioni strategiche necessarie da qui all’autunno prossimo, è diritto e dovere del centrodestra stare al gioco. Il punto è capire di quale gioco si tratta.

Se l’iniziativa muove dall’esigenza di tenere in vita quanto più a lungo possibile una maggioranza sfibrata e balbettante, magari con la scusa ricattatoria che l’alternativa allo status quo rischia di essere il caos prefigurato (ad arte?) dal grottesco ma non certo rassicurante fenomeno Pappalardo (un misto di antipolitica e narcisismo antiscientifico), la proposta può essere già rispedita al mittente. I così detti gilet arancioni sono oggettivamente i migliori alleati di Conte e del suo simmetrico narcisismo predicatorio, pseudo paternalista e troppo confinatorio rispetto alle nostre libertà civili compresse dagli effetti del coronavirus.

Sicché un primo modo per verificare la buona fede governativa sta nel pretendere che si rispetti, al netto di qualche imprevisto sotto il profilo del distanziamento interpersonale, il controllato e civile moto di piazza avviato il 2 giugno da Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani. La manifestazione dei dirigenti politici di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia ha rappresentato un tentativo di dare forma politica a una pulsione viscerale altrimenti destinata a ingrossare le file tempestose dello spontaneismo.

Dopo tre mesi di lockdown, una legittima ansia e volontà di partecipazione popolare ha trovato un quadro di riferimento partitico disposto a farsi carico d’istanze diffuse, non senza offrire spunti e suggerimenti alla maggioranza giallorossa. Il tutto nel pieno rispetto – anche simbolico – delle prerogative istituzionali competenti alle più alte cariche dello Stato. La dialettica del pluralismo è dunque sacrosanta e necessaria, a meno di voler incoraggiare il disordine per autolegittimare una torsione monocratica da parte della presidenza del Consiglio... ma vogliamo immaginare che Conte e i suoi consiglieri non giungano a un punto tale di spregiudicato cinismo. Una seconda cartina di tornasole, se possibile ancora più probante, sta nella proposta di trasformare lo stilnovo governativo nel prologo di una legislatura costituente nella quale riscrivere le norme fondamentali della Repubblica: dalla legge elettorale al rapporto Stato-enti locali, fino alle leggi costituzionali in materia di sovranità economica e di bilancio. E con uno speciale riguardo alla dimensione europea d’un processo di autoanalisi e ripensamento radicale del quale s’intravvede finalmente la possibilità in seno alle leadership continentali.

In altre parole: si tratta di andare a votare (in sicurezza) il prima e il meglio possibile, per poi dar vita a tale fase costituente resa urgente dallo stato d’eccezione economico che tiene dietro a quello sanitario (sperando che non vi siano sovrapposizioni di ritorno...). Se così avvenisse, l’Italia avrebbe finalmente l’opportunità di reagire in forma unitaria alla crisi e, allora sì, avrebbe senso ragionare sul miglior governo possibile piuttosto che sull’eventualità di spaccare il centrodestra avvicinando i berlusconiani al periclitante Conte bis.

Conosciamo già l’obiezione principale: sarebbe Conte per primo a percepire questo snodo come un cappio per la propria premiership. La risposta, tuttavia, non spetta a noi ma ai suoi architetti giallorossi: saranno all’altezza della sfida che loro stessi sembrano voler lanciare?
 

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