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Quanta ipocrisia sugli immigrati

Gli italiani tornano a svolgere lavori umili che prima non volevano fare. Solo il Palazzo non lo vede

Gianluigi Paragone
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Nulla sarà più come prima. Vero, infatti ora «gli italiani che non vogliono più fare certi lavori» li trovi esattamente in quei luoghi lì: sulle strade a far consegne di cibo per conto delle multinazionali guidati dalle app; nei campi a raccogliere la frutta di stagione; nelle case per mettersi a disposizione come collaboratori domestici. Insomma in momenti di difficoltà economica, con la spesa da fare e zero entrate nei bilanci familiari, ci si arrangia. Questo è lo scenario che il Palazzo non vede, questa è l'Italia che esce da vecchie posizioni per rimettersi in gioco. Lo fa con umiltà ma con la pretesa di chi non vuole essere sfruttato. Insomma, vanno bene i poor working ma pagati quel che è giusto pagare. Eppure c'è ancora chi vorrebbe nascondere un pezzo di un'altra storia. Uno l'ho sentito martedì sera in televisione nel corso della trasmissione dov'ero anch'io ospite, era Pierferdinando Casini: gli immigrati - ha detto sostanzialmente - servono perché gli italiani non fanno e non vogliono fare questi lavori, quindi abbiamo bisogno di braccianti. Vedremo se le cose stanno davvero così.  Per approfondire leggi anche: Ok alla sanatoria dei migranti Intanto Roberto Saviano, sulle colonne di Repubblica, ha scritto che «le fragole stanno marcendo, i pomodori penzolano con la polpa ormai sfatta, le ciliegie sono a terra come tappeti intorno ai tronchi degli alberi» e nemmeno le nespole, gli asparagi, le fave, i piselli e le zucchine se la passano bene. La colpa ovviamente è di chi non raccoglie, di chi non ha fermato il potere del caporalato con un provvedimento ad hoc. Quello delle regolarizzazioni è un tema che periodicamente salta fuori trainato da due argomenti forti: gli italiani non vogliono fare questi lavori (non è la tesi di Saviano) e togliere potere ai caporali quindi alle mafie che si avvalgono del lavoro nero. A scanso di equivoci voglio dire che la legge Bossi/Fini è tuttora in vigore e nessun governo di centrosinistra l'ha mai levata per scriverne un'altra. Il lavoro nero nei campi si è allargato a macchia d'olio perché nessuno ha realmente voluto fronteggiare la questione con le maniere dure, cioé ispezioni e azioni militari per disarticolare l'intreccio clandestinità e lavoro nero: tutti sanno dove accampano questi poveri disgraziati irregolari al servizio dei caporali e tutti sanno in quali campi fanno la raccolta. Evidentemente questo andazzo conviene così com'è. Nessuna regolarizzazione servirà a risolvere una volta per sempre la questione se tanto ci sarà sempre un esercito di disperati pronto a umiliarsi pur di guadagnare qualcosa. Solo un rigoroso intervento di ordine pubblico sarebbe utile al fine di far rispettare i diritti di umanità oltre che quelli del lavoratore. Non è sanando l'irregolarità che sradichi lo sfruttamento. Raccogliere la frutta è un lavoro molto faticoso, un lavoro per così dire «operaio», e che non richiede particolare scienza: ci vuole sacrificio e fatica. Lo hanno fatto i nostri nonni in momenti disperati, toccherà - è la nuda verità - anche a chi in preda alla disperazione non avrà introiti per tenere a galla il bilancio familiare. Molli cittadini italiani se ne sono convinti e si sono messi a disposizione. Con una condizione imprescindibile: fatica e sacrificio in cambio di un salario regolamentato. Nessun mercato nero può fare concorrenza sleale; garantire questo però è compito delle forze dell'ordine e degli ispettori del lavoro. Tengo solo come ultimo argomento, ma non perché sia di minor importanza, l'utilizzo dei percettori del reddito di cittadinanza come platea di lavoratori obbligati a questo genere di lavori. Chi percepisce il reddito non può pensare di godere di un obolo di mantenimento o di assistenza senza che vi sia una controprestazione. In una fase come l'attuale dove le aziende sono chiuse e il lavoro batte fortemente in testa, si prende quel che c'è e soprattutto laddove serve. Senza troppi dibattiti. In attesa dei navigator e dei Mimmo Parisi, si dia corso a quell'incrocio domanda/offerta che oggi diventa un fatto necessario per evitare che la frutta e gli ortaggi marciscano. Nessuna regolarizzazione senza che si abbia la certezza che i percettori del reddito di cittadinanza siano stati contattati e offerto la disponibilità. Non è tempo di retribuzioni gratuite. La situazione è drammatica per tanti cittadini, sia chiaro a tutti.

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